Tutti e tre i principali gruppi politici che vorrebbero governare l’Italia promettono, pur con diverse ricette, l’«aumento dei consumi», considerato come fattore essenziale per la ripresa economica e per l’aumento dell’occupazione. Ma è poco chiaro che cosa intendono per «consumi»: immagino che si tratta di prodotti alimentari, di calze, di automobili, di cemento, di mobili, di piatti, di carta, di alluminio, di finestre, di telefoni cellulari, e delle altre innumerevoli merci che entrano direttamente e indirettamente nella nostra vita quotidiana.

Mezzo secolo fa, nella primavera dell’ecologia, alcuni studiosi spiegarono che l’inquinamento e le alterazioni ambientali dipendono da tre fattori: il numero di persone, la quantità di merci che ciascuna persona consuma e la qualità di tali merci. Per ridurre i danni ambientali sarebbe stato necessario rallentare l’aumento della popolazione mondiale e la quantità delle merci che ciascuna persona consumava e modificare la qualità di tali merci.

Le merci, infatti, non si consumano, ma si usano per un tempo più o meno lungo e poi vengono scartate, rifiutate, ma rimangono materia gassosa, liquida o solida che va a finire nei corpi riceventi naturali: l’atmosfera, le acque dei fiumi o del mare, il suolo, peggiorandone la qualità.
Non solo: la produzione di merci agricole e industriali avviene sottraendo qualcosa ai corpi naturali: rocce e minerali dalle cave o dalle miniere, idrocarburi dai pozzi, tutti materiali non rinnovabili, che una volta estratti lasciano delle riserve impoverite. Le stessi merci agricole, rinnovabili per eccellenza perché prodotte ogni anno con l’energia del Sole, per l’impiego di concimi sintetici e di pesticidi, lasciano, un anno dopo l’altro, i terreni meno fertili.

Nel 1972 addirittura era stato pubblicato uno scandaloso libro che proponeva di porre dei limiti alla crescita della popolazione e dei consumi. Dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il moto delle merci e dei loro consumi, gli economisti e molti studiosi spiegarono che si trattava di proposte assurde, anzi sovversive, e che soltanto l’aumento dei consumi avrebbe potuto assicurare più felicità ai paesi ricchi e anche il benessere ai paesi poveri. E così è sembrato per mezzo secolo, anche se offuscato da alcuni inconvenienti: un crescente inquinamento dell’aria e delle acque, la formazione di montagne di pestilenziali rifiuti, una serie senza fine di frane e alluvioni, incendi devastati, un clima impazzito a seguito della crescente immissione di rifiuti gassosi nell’atmosfera.

Per attenuare tali effetti sono stati e sono fatti sforzi di consumo critico, modificando la qualità dei carburanti per autoveicoli, la indistruttibilità della plastica, il tipo di pesticidi, i processi di produzione dell’elettricità, riciclando una parte dei rifiuti, anche se finora con pochi effetti. Eppure è questa la strada da battere per avere i beni necessari con minori danni per la natura e la salute, con un aumento duraturo dell’occupazione.