Il Naga, con i suoi 300 volontari, a Milano è una specie di istituzione che dà concretezza a un antirazzismo che lavora sul campo. A testa bassa e senza tanti proclami. Da 27 anni promuove e tutela i diritti dei cittadini stranieri, senza chiedere il permesso di soggiorno. L’esame del sangue magari sì. Perché ci sono i medici. Hanno un ambulatorio. Hanno curato e curano migliaia di persone: «Il Naga riconosce nella salute un diritto inalienabile dell’individuo». Solo tra il 2009 e il 2013 l’associazione ha intercettato 15 mila nuovi utenti: l’89% del campione è costituito da immigrati privi di permesso di soggiorno.

Non è una vanteria sostenere che il rapporto Naga 2014 «Cittadini senza diritti, stanno tutti bene» è «una fonte di informazione particolarmente ricca e assolutamente originale sull’universo dell’immigrazione irregolare a Milano, un universo che per sua stessa natura sfugge spesso a tentativi di misurazione e di descrizione». È stata riservata particolare attenzione alle 2.417 persone che nel 2013 si sono rivolte alla struttura per la prima volta. Come dice Luca Cusani, presidente del Naga, «i dati e le testimonianze raccontano che stanno tutti peggio o, meglio, che stiamo tutti peggio».

Come Jillaly, uno dei tanti. Marocchino, in Italia dal 1997. Pizzaiolo, ma disoccupato da due anni. Ogni tanto fa l’imbianchino, in nero. «Tutto va male, non c’è più lavoro, niente. Devo lavorare, ho due figli nati qua, sono italiani, voglio rimanere ma ho bisogno di un lavoro». O Isabel, salvadoregna di 34 anni, in Italia dal 2005. In Salvador era impiegata di banca, è emigrata per la delinquenza. «Fino al 2011 ho fatto la colf, da due anni non trovo più lavoro. Mio marito lavora ogni tanto, in nero. Non so cosa faremo». Sono gli effetti di una crisi economica che ha colpito le persone con una lunga permanenza in Italia e un alto tasso di istruzione. Hanno perso il lavoro e sono a rischio emarginazione.

«La crisi – sintetizza il Naga – ha avuto effetti pesantissimi: la percentuale di occupati attivi nel campione è passata dal 63% nel 2008 al 36% del 2013. La riduzione è stata di oltre 30 punti per la componente femminile. Al crollo degli occupati relativamente stabili corrisponde un aumento dell’«occupazione saltuaria (dal 47% del 2008 al 69% del 2013) e degli ambulanti». Quindi non è vero che la crisi penalizza soprattutto i cittadini italiani. È vero invece che il crollo della disoccupazione è particolarmente penalizzante per gli ultimi venuti: la percentuale di occupati fra chi è in Italia da meno di un anno non raggiunge il 15%.

Il resto viene da sé. Quando manca il lavoro è logico che peggiori anche la condizione abitativa degli stranieri – «c’è un preoccupante aumento dei senza fissa dimora» si legge nel dossier. Questa percentuale, nel periodo 2009-2013, è passata dal 9 al 18%. Nello stesso periodo preso in esame è diminuito il numero di donne che viveva presso il datore di lavoro (dal 12% al 4%) ed è aumentato quello relativo alle donne senza fissa dimora (dal 7% al 13%). Dettagli che devono essere sfuggiti agli amministratori che a Milano si vantavano di aver sottoscritto un piano da duecento sgomberi di occupanti abusivi di case popolari.

I più penalizzati dalla crisi economica risultano essere i migranti provenienti dai paesi europei (rumeni e bulgari) e quelli con un’istruzione universitaria. Lo studio, scrivono i ricercatori, ma inascoltati lo ripetono da anni e tutti i governi di centrodestra e centrosinistra, indica l’urgenza di ripensare almeno la legislazione sull’immigrazione: bisogna slegare il permesso di soggiorno dal contratto di un lavoro che non c’è.

C’è poi una considerazione che forse non rientra nella statistica ma colpisce ugualmente. Dice Luca Cusani: «Da quasi trent’anni incontriamo cittadini stranieri e siamo sempre stati colpiti dalla carica progettuale delle loro storie, dalla spinta verso il futuro dei loro racconti, nonostante le difficoltà del quotidiano e nonostante una normativa insensata e criminalizzante che crea irregolarità. Invece, per la prima volta quest’anno presentiamo un rapporto dove raccontiamo una realtà recessiva». Gli stranieri non ci credono più, forse sono diventati dei perfetti italiani.