I governi del PT (Lula e Dilma) sono stati un esempio eccezionale di rappresentazione degli interessi delle classi e frazioni dominanti, collegata a un progetto di miglioramenti specifici come la  Borsa-Famiglia, per i salariati e i settori più impoveriti. Fino a quando lo scenario economico è stato favorevole, il paese sembrava camminare verso l’universo delle economie avanzate. Ma, con l’aggravarsi della crisi economica, sociale e politica, il mito è cominciato a crollare e oggi sta vivendo i suoi ultimi giorni.

É bene ricordare che il governo Dilma ha potuto contare sul significativo appoggio delle classi dominanti borghesi (delle frazioni industriale, finanziaria, dell’agrobusiness ecc.), soprattutto durante buona parte del suo primo mandato. Con l’intensificarsi della crisi, specialmente nel 2014, anno conclusivo del primo mandato, questo quadro ha cominciato a modificarsi. Già nelle elezioni di ottobre 2014 era possibile percepire una divisione maggiore tra le frazioni borghesi, una volta che il nuovo quadro recessivo anticipava la necessità – che i grandi capitali esigevano – di cambiamenti profondi nella politica economica per aggiustarsi al nuovo scenario.

Già alla fine del suo primo mandato, Dilma ha sperimentato una politica di riduzione degli interessi (che in Brasile sono tra i più alti del mondo), attraverso l’azione delle banche statali. Questo è stato più che sufficiente per cominciare a scontentare pezzi del capitale finanziario speculativo. E’ stato per questo che, subito dopo la vittoria elettorale (ottobre 2014), all’inizio del secondo mandato nel gennaio 2015, Dilma ha nominato come Ministro dell’Economia, principale responsabile della politica economica, un personaggio proveniente dalle maggiori banche private del paese. E è toccato a   Joaquim Levy realizzare un aggiustamento fiscale profondamente recessivo, che è iniziato con l’appoggio di tutte le grandi frazioni del capitale, ma che, con l’intensificarsi della recessione e l’aumento esplosivo degli interessi, ha cominciato a risvegliare una crescente scontentezza dei settori industriali che vedono ridursi significativamente i propri profitti, nella misura in cui il PIL brasiliano  si contrae e aumentano i livelli di indebitamento.

Veniamo ad oggi, marzo 2016, constatando che l’insoddisfazione degli imprenditori è divenuta totale e si è convertita in un forte blocco di opposizione politica al governo. Tutto questo accentua la crisi in tutte le sue dimensioni e il governo Dilma si trova completamente senza indirizzo. Da una settimana all’altra presenta proposte a cui non viene dato seguito, accrescendo ancor più la scontentezza in tutte le classi sociali – anche se spesso per motivi opposti – vedendo la sua base sociale, politica e parlamentare che si erode a ogni nuova misura. E, più questo succede, più il governo si piega a tutte le imposizioni del  capitale.  Di conseguenza, si sfilaccia ancora di più il già ristretto appoggio militante dei movimenti sociali, sindacali e politici, oggi praticamente ridotto ai militanti che agiscono nel PT, nella CUT e in alcuni movimenti sociali che danno un appoggio critico al governo Dilma, ma che sono contrari – come la quasi totalità dei partiti di sinistra (come PSOL e PCB) – al golpe parlamentare – con appoggio giudiziario – basato su una specie di giuridizzazione della politica che ha portato il Brasile a una variante di stato di  eccezione giudiziaria.

Quel che si può dire quindi è che l’appoggio che Lula e Dilma hanno incontrato nei periodi precendenti è in una fase di completa corrosione in tutte le classi sociali. Nelle classi medie il quadro è abbastanza avverso al governo Dilma. I segmenti più conservatori – le classi medie tradizionali – stanno dirigendo le manifestazioni di strada che raggruppano dai settori liberali, ai conservatori, fino ai sostenitori della dittatura militare del 1964, passando per protofascisti e fascisti. E quanto più le classi medie si trovano ad un livello alto della scala sociale, più fortemente si oppongono – attraverso l’odio – al governo Dilma e al PT (e, di conseguenza) alle sinistre in generale.

Nelle classi medio basse il disincanto è totale: i salari si riducono, l’inflazione cresce, la disoccupazione sta tornando ad aumentare e, praticamente, non c’è più nessun segmente di questa  classe medio bassa  che si dia da fare nell’appoggiare il governo. Al contrario, sempre di più, aderiscono alle manifestazioni di opposizione al governo Dilma.

Nella classe lavoratrice il disincanto è esplosivo: nei settori che sono stati o ancora sono parte costitutiva del PT e, di conseguenza, base sociale dei suoi governi, ogni giorno c’è un processo di corrosione maggiore e quindi di perdita di questo appoggio. Chiaramente, molti di questi settori temono un golpe, con la possibile crescita elettorale della destra esplicitamente elitista, privatistica e finanziaria.  Ma, diminuisce sempre più il numero di quei salariati, uomini e donne, che prima appoggiavano il governo del PT e che percepiscono che, le misure assunte dal secondo governo Dilma, penalizzano in modo via via più pesante la classe lavoratrice. Ci sono, quasi ogni giorno, numerose manifestazioni nelle periferie, chiaramente contrarie alle misure recessive e antipopolari del governo. Perfino negli strati più impoveriti, fuori da qualsiasi organizzazione  (sindacale, sociale o politica), dove troviamo quelli che dipendono dall’assistenzialismo statale, favorito dalla concessione della Borsa-Famiglia, perfino in questi gruppi   perde vigore in modo significativo l’appoggio precedentemente fornito al governo Dilma.

Non è difficile constatare che la crisi è di alta densità e profondità:  sociale, perchè l’insoddisfazione permea tutte le classi e frazioni di classe, anche se in modo differenziato e perfino antagonistico;  politica, perchè ha aperto una frattura (che sembra irreversibile) nella base partitica di appoggio al governo, visto che vari partiti e raggruppamenti politici, che poco tempo fa appoggiavano il governo, ora partecipano alla campagna aperta per l’ impeachment. E instituzionale, perchè ha portato al collocamento di settori del Parlamento brasiliano su posizioni di chiara opposizione al Governo, essendo quindi capace di aprire in qualsiasi momento un processo per la deposizione di Dilma Rousseff, con rischi di scontro tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, oltre ad avere conseguenze dirette sul Supremo Tribunale Federale, chiamato quasi ogni giorno a dare l’interpretazione giudiziaria sul processo di impeachment, viste le tensioni  e fratture all’interno del Parlamento.  E, se tutto questo non bastasse, la crisi ha una forte matrice economica, che accrescerà la disoccupazione nei prossimi anni, con una forte riduzione dei salari e la creazione di un clima di incertezza che non può che finire per rivolgersi contro il governo e alimentare ulteriormente la crisi.

Oggi, concludendo questo testo, non abbiamo la benché minima possibilità di prevedere quale sarà il domani di Dilma: potrà mantenere il suo mandato fino al 2018? Questa ipotesi oggi sembra difficilissima, data l’intensità e la simultaneità delle crisi indicate sopra. Subirà un processo di impeachment? Sopporterà le pressioni esplosive a cui è sottoposta praticametne da tutte le classi sociali, dalle multiple frazioni della borghesia; con il ruolo decisivo – nello spingere alle rivolte conservatrici –  che hanno i media dominanti (televisione, giornali, radio ecc.)? Rinuncerà? O incontrerà forze che oggi non esistono per risollevarsi  e superare la crisi attuale?

Il fatto che il più importante partito di sinistra della storia recente in Brasile, il PT, venga fagocitato e  inghiottito dall’immenso ventaglio degli alleati politici di centro e di destra, che hanno ora cambiato posizione per distruggerlo,  è insieme una  tragedia e una farsa.

(Traduzione di Serena Romagnoli)