Nel 2019 Stefano Liberti, giornalista, scrittore e film-maker, ha girato l’Italia per incontrare agricoltori, ricercatori, pescatori, amministratori e attivisti per documentare come il cambiamento climatico stia modificando la loro vita, il lavoro, il paesaggio e il modo di vedere il futuro. Il tutto è stato raccolto in un libro dal titolo Terra bruciata – che sarà presentato domani alle 11 al Link Festival del giornalismo di Trieste. Liberti racconta i ghiacciai che si ritirano, le coste erose dall’innalzamento del mare, le città infuocate e la desertificazione di alcune zone della Sicilia, ma anche Venezia minacciata dall’acqua alta e i fiumi, come il Po, che passano da momenti di scarsità d’acqua a tracimazioni devastanti. Ha incontrato persone impegnate a combattere i cambiamenti climatici. Come il contadino Giorgio Elter che dai quasi 2000 metri d’altezza della sua azienda agricola in Valle d’Aosta «ha visto e continuerà a vedere il ghiaccio ritrarsi, il bosco alzarsi di quota, le fioriture anticipare, le specie cambiare. Sta insomma assistendo a uno spettacolo che normalmente richiederebbe millenni». Ma Elter ha deciso di non essere solo spettatore e ha citato in giudizio alla Corte di giustizia europea le principali istituzioni dell’Ue per non aver adottato misure adeguate al fine di ridurre le emissioni climalteranti entro il 2030. E ancora. Riccardo Scotti, ricercatore in glaciologia all’Università di Bologna racconta che «quello che sta accadendo in montagna è un segnale del disastro che avverrà in valle. Se qui i ghiacciai si fondono, vuol dire che nelle pianure ci sarà meno acqua e farà sempre più caldo».

L’autore riporta come esempio anche l’invasione nei campi di insetti un tempo sconosciuti e che hanno trovato ora un habitat ideale per vivere e riprodursi, come la cimice asiatica che arreca danni per milioni di euro ai frutteti. Oppure la sostituzione in Sicilia dei poco redditizi agrumeti con piantagioni di alberi esotici (manghi, litchi e avocado). E sempre in Sicilia le preoccupazioni di Vincenzo Piccione coordinatore di un gruppo di ricerca che studia il fenomeno della desertificazione: «Negli ultimi ottant’anni si è avuta una perdita media di fertilità di 117 chilometri quadrati all’anno. Le proiezioni della Nasa prevedono per il 2030 un incremento di temperature di 1,4 gradi e un decremento di precipitazioni del 27% nel Mediterraneo rispetto al trentennio di riferimento 1960-1990. Fra dieci anni il 75% del territorio siciliano sarà nella classe critica». «La cosa però più sorprendente – afferma Liberti – è come gli effetti dei cambiamenti climatici siano così evidenti nel nostro Paese e quanto il tema sia assente dal dibattito pubblico. Il fatto che l’Italia sia un hotspot – siamo più esposti dei nostri vicini europei agli effetti del surriscaldamento – mette d’accordo gli studiosi, ma non stimola i responsabili politici ad attivare politiche d’adattamento per i nostri territori sempre più fragili. La politica sta reagendo in modo incredibilmente tiepido agli allarmi che scienziati e cittadini lanciano da tempo: se a livello locale alcune città più sensibili stanno mettendo in atto misure di gestione del rischio, a livello nazionale il piano di adattamento ai cambiamenti climatici del 2017 giace più o meno inattuato». E proprio ad alcuni esempi di amministrazioni locali sensibili al problema Liberti dedica un capitolo. Ecco allora che trova spazio nel libro Milano che sta portando avanti un’azione tesa ad assorbire gli urti del clima ripensando nel complesso le sue politiche edilizie e dei trasporti, che lancia il progetto ForestaMi che prevede la piantumazione nell’area metropolitana di tre milioni di alberi entro il 2030 e che finanzia la creazione di tetti verdi. C’è spazio anche per Sorradile (Oristano), paesino di 400 abitanti, che ha sviluppato politiche di risparmio idrico e ha dato vita al giardino fenologico che permette di costruire un profilo dei cambiamenti climatici del territorio: «Se una pianta fiorisce prima, vuol dire che il clima è cambiato ». Il punto non è quale pianeta lasceremo ai nostri nipoti, bensì in che condizioni è già oggi il Paese in cui viviamo.