Lo scorso 13 settembre, alla “Festa della Rete” di Rimini, il blog Spinoza ha stravinto per il sesto anno consecutivo il premio come migliore sito italiano di satira. Un successo che lievita di anno in anno, un po’ per la tagliente critica politica che caratterizza il suo pedigree, un po’ per l’incalcolabile schiera di proseliti che segue i guru Stefano Andreoli e Alessandro Bonino. Oltre 500 mila like sulla pagina Facebook, migliaia di battute che i lettori più accaniti inviano, propongono e retwittano ogni giorno. Un lavoro a tempo pieno? Non proprio. «Anzi, ci tengo sempre a specificarlo: io vivo Spinoza come un hobby», chiarisce Stefano, romagnolo, speaker su Radio Monte Carlo e scrittore di testi per numerosi comici italiani.

Beh, il progetto vi leva comunque tante energie…

«Allora, a dire il vero non si tratta di un progetto. E forse è questo il punto. Spinoza non ha un obiettivo, non si è mai dato un’agenda o una rotta. Navighiamo a vista, anche se non sembra. Il sito nasce ai tempi dell’ultimo, scricchiolante governo Prodi; erano i tempi bui della satira, dopo l’addio di Luttazzi (vera fonte d’ispirazione) e il vuoto pneumatico che ne è conseguito. È lì che abbiamo iniziato, un po’ per scherzo e senza avere idea di ciò che avrebbe suscitato; la battuta, la stilettata ficcante e caustica…sono cose che abbiamo sempre avuto dentro, ci è quasi venuto naturale iniziare l’avventura».

Chiamiamola avventura allora; e il nome invece? Spinoza, il filosofo, non rimanda intuitivamente alla satira politica.

«Il nome lo dobbiamo ad una serie di fortunate concause, nessuna delle quali strettamente legata al filosofo. Nel 2005, quando nasce Spinoza, andava di moda chiamare i blog con i nomi dei filosofi: c’era Leibniz, ma anche il più noto Wittgenstein di Luca Sofri. Alessandro cercò quindi il suo filosofo di riferimento (io sono arrivato poco dopo) e leggendo uno stralcio della scomunica della Chiesa d’Israele a Spinoza pensò che non si poteva non parteggiare e non simpatizzare per qualcuno che fosse così odiato dagli ultrà del monoteismo. Solo più tardi ci fecero notare che in alcuni passaggi della sua produzione, il filosofo olandese aveva fatto richiami alla necessità di “attraversare la vita in serenità, letizia e ilarità”».

Torniamo al sito e alla sua vasta community. Anche voi, come Grillo, usate primarie e votazioni via web per la scelta delle battute dei post?

«In questi anni abbiamo capito soprattutto una cosa: la democrazia totale e diretta nel web non funziona. Anzi è controproducente. Arrivano migliaia di battute al giorno: affidare al pubblico la selezione sarebbe un processo lunghissimo, e probabilmente non premierebbe quelle più meritevoli. Abbiamo uno staff particolare, siamo una redazione virtuale di 30 persone che comunicano via etere e scelgono le battute dopo infinite disamine. Tutte serissime. Più che una parodia della politica, ci piace far trasparire una parodia del linguaggio giornalistico, e su questo si basa la nostra scelta. Spinoza, dunque, non è democratico. O non del tutto. Lo è solo perché ogni autore ha la stessa identica possibilità di essere scelto per la propria battuta».

Democratico o no, il vostro blog fa politica.

«Indubbiamente. Ma in maniera diversa da tanti altri portali web. Noi cerchiamo di unire l’informazione alla risata, e questo ci permette di veicolare messaggi a gente che non si sognerebbe mai di leggere gli editoriali dei quotidiani. Ma soprattutto, proviamo a mettere l’accento su alcune cose che riteniamo degne di nota, mettiamo i puntini sulle “i”. Non pretendiamo di dare risposte o soluzioni. Ci interessa, semmai, evidenziare chi non può darle, chi sconta un deficit di credibilità…da questo punto di vista, siamo noi i pionieri della “rottamazione”».

E questo non sfugge a nessuno, compreso il premier Renzi…

«Beh, sappiamo che Renzi è un nostro affezionato lettore. E non è un caso che si sia guadagnata la simpatia di molti italiani con la sua autoironia, con un savoir-faire spigliato e accattivante. Vuol dire che sa cogliere la genialità dell’umorismo. Fu lui, da sindaco di Firenze, a voler sposare Alessandro Bonino in Comune quando venne a sapere che “uno di Spinoza” si sarebbe sposato. Abbiamo anche una bella foto ricordo: gli sposi, il premier e io che ero il testimone».

Nell’era della democrazia digitale, è possibile fare politica solo con una tastiera?

«C’è un diffuso malumore verso la classe dirigente del Paese, non ce lo nascondiamo neanche noi; e anche per questo capiamo chi non va oltre il click. La gente, brutalmente, non ha tempo da perdere; e la politica dei palazzi è vista come qualcosa di distante, di secondario. L’indignazione da tastiera, poi, ha avuto la sua benedizione dal libro La Casta di Rizzo e Stella: da lì in avanti, ogni impegno politico si è dovuto confrontare col peccato originario del magnamagna e della delinquenza fino a prova contraria. Se serviva poco per far esplodere la sfiducia, quel libro è stato il detonatore più incisivo di questa crisi».

Crisi della rappresentanza e della politica, appunto. Ma anche economica, sociale, culturale…quante crisi abbiamo? Il vostro ultimo libro si chiama La crisi è finita e altri racconti fantastici. È davvero terminata?

«Quando dai alle stampe il quarto libro in pochi anni è difficile trovare un titolo o un concetto che sia realmente esaustivo di quanto vai dicendo e predicando da tempo. Il libro nasce dall’idea di avere una sorta di annuario; capace a sua volta di inscriversi in un contesto più grande, quello di questi 10 anni di satira e serietà. La crisi, da tempo, è un abuso lessicale proprio di tutta la nazione: dalla Politica al bar, nessuno ne è immune. È la causa del male, ma anche la scusa per rilanciare l’economia; è veleno ed antidoto, è sintomo e panacea. La crisi, nella sua vaghezza sintattica e temporale, è la grande boutade dei giorni nostri. Questo pensiero si sposava a perfezione con l’esigenza di trovare un titolo che non avesse tempo, che potesse essere valido oggi come nel 2008. E oggi come allora, la crisi c’è e non se ne esce».