I numeri aiutano a capire. Cominciamo, per analizzare quanto è accaduto in Sardegna lo scorso 4 marzo, dai dati sulla disoccupazione. Nel secondo semestre del 2017 l’Istat aveva certificato un tasso di disoccupazione al 15%. Pochi giorni fa oggi lo stesso istituto, a consuntivo del 2017, ha rivisto la stima, registrando un dato che si attesta sul 17%. Una cifra in forte controtendenza negativa rispetto alla media italiana, che è dell’11,2%. Nell’isola scende anche il tasso di occupazione, dal 51,2% al 50,5%, mentre quello di inattività per i cittadini tra i 15 e i 65 anni è del 38,9% contro il 34,6% del resto d’Italia. Dalle rilevazioni dell’Istat si scopre anche che tra le province sarde nelle quali si fa maggiormente sentire l’assenza di lavoro c’è il Sud Sardegna, con il 21,4% di tasso di disoccupazione. Nella stessa area si ci sono punte del 23,6% tra le donne.

Dalla disoccupazione alla povertà. Secondo i dati contenuti nell’ultimo rapporto reso noto dalla Caritas Sardegna, sono soprattutto i giovani che rischiano di diventare poveri: un individuo su cinque tra chi ha lanciato un «Sos» alla Caritas e ad altre associazioni ecclesiastiche ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni. Le persone che si sono rivolte ai dieci centri di ascolto Caritas sparsi nell’isola sono state 7.692 nel 2017. Soprattutto italiani (73,3%). Gli stranieri sono circa 2.000, in particolare di nazionalità romena, marocchina e senegalese. Che cosa chiede chi si rivolge ai centri Caritas? Innanzitutto un aiuto economico: sono persone senza o con poco reddito. Chiedono viveri, accesso alle mense, pagamento di luce, gas e tasse. Forte anche la domanda di medicine e cure. In tanti chiedono lavoro. Quasi il 63% degli utenti Caritas è disoccupato. Dall’assenza di lavoro derivano il 32,4% dei problemi economici rilevati, la completa mancanza di un reddito (13,6% del totale dei bisogni), l’indebitamento.

Poi ci sono gli effetti della crisi sulle attività produttive. A cominciare dall’industria. Il polo chimico di Ottana, nel Nuorese, è ormai ridotto a un cumulo di ferraglie arrugginite. Dell’altro polo chimico, quello di Porto Torres, a Nord, restano soltanto le attività legate alla produzione di energia elettrica. Nel Sulcis tra le fabbriche del distretto dell’alluminio sopravvive soltanto l’Alcoa, appena venduta a una multinazionale svizzera, la Sider Alloys. Il settore economico più tradizionale, quello dell’allevamento, è in crisi strutturale da decenni. Nell’agricoltura reggono soltanto poche attività che hanno saputo fare innovazione e intercettare le richieste dei mercati internazionali; per il resto il panorama è desolante. Il turismo, nonostante le potenzialità enormi legate all’ambiente e al paesaggio, non decolla come potrebbe se si risolvessero i nodi della qualità dei servizi e dei trasporti. Le infrastrutture di collegamento, sia interne che verso l’esterno dell’isola, sono semplicemente vecchie e inefficienti.

La Sardegna, insomma, è stretta dalla crisi in una morsa terribile. A poco sono serviti l’istituzione del «reddito di inclusione sociale» (una misura contro la povertà) decisa dalla giunta regionale e i tentativi di rianimare quel poco di industria ancora in piedi del ministro dello sviluppo economico Calenda giusto a ridosso della scadenza elettorale. Pd e Forza Italia si sono alternati alla guida dell’isola negli ultimi dieci anni, quelli in cui la crisi ha colpito di più. Gli effetti economici e sociali devastanti delle loro politiche sono all’origine del voto del 4 marzo.