Lavoro precario «sotto ricatto», ‘ndrangheta e gioco d’azzardo, emarginazione, politici indagati, sicurezza, revisionismo, sfratti e denatalità: l’ex città operaia di Voghera sarebbe materia di studio per la sociologia. E forse non è un caso che proprio qui, tra il Po e gli appennini a metà strada fra Milano e Genova, l’assessore leghista alla sicurezza Massimo Adriatici si permettesse di girare con la Beretta pronta a sparare che ha ucciso Youns El Boussettaoui, la sera del 20 luglio. L’episodio sembra il culmine di un processo politico e socio-culturale che coinvolge, se non l’Italia intera, almeno diverse aree del Nord un tempo industriali. Una trasformazione che riguarda i partiti, il lavoro, il sistema dell’assistenza sociale e la percezione delle diversità.

«VOGHERA è un caso di studio perché da città di centrosinistra è diventata di destra: c’è stata una mutazione antropologica. Un po’ tutta la bassa padana ha subito questo processo, come Piacenza e Ferrara», spiega il giornalista Vittorio Emiliani, che ha mantenuto l’occhio sul capoluogo dell’Oltrepò pavese, dove trascorse la gioventù. Dopo un esordio post-bellico comunista, simbolo di un territorio baluardo della Resistenza, è stata guidata dal centrosinistra. Fino a una svolta, nel 2000: da allora ha virato sempre più a destra. Lo scorso settembre la nuova sindaca Paola Garlaschelli è stata fermata al 49,2% al primo turno solo perché la parte moderata della precedente coalizione di centrodestra si è alleata col Partito democratico. «La sinistra – conclude Emiliani – non ha offerto risposte alla nuova realtà dell’immigrazione straniera, che pur essendo sfruttata ha creato paura».

FU IL TIMORE del diverso, nel ‘99, a scuotere l’ultima giunta di centrosinistra. A pochi passi dove Youns è morto ammazzato, nei cortili dell’ex caserma di cavalleria da decenni semi-abbandonata, una trentina di sinti vogheresi viveva nel degrado. Il Comune pensò a un campo attrezzato per loro e a un centro di accoglienza per gli stranieri senzatetto che avevano iniziato ad affacciarsi in città. L’opposizione raccolse le firme per un referendum consultivo contrario. «Finimmo sulla stampa nazionale come primo caso di referendum per escludere persone dalla solidarietà, anche Luigi Manconi fece un’interrogazione parlamentare», racconta Giorgio Silvani, giornalista vogherese. Ma al referendum il no stravinse, le ipotesi vennero accantonate, l’anno dopo arrivò il centrodestra che nel 2007 ha messo su un campo per i sinti stretto tra la tangenziale e la ferrovia e presentato come un «modello». È rimasto un ghetto. Un centrosinistra litigioso non fu capace di gestire una situazione che univa un’emarginazione storica a quella nuova degli stranieri. La «mutazione antropologica» ebbe lì un tassello, un altro riguarda il lavoro.

 

Area dismessa della ferrovia. @ArnaldoCalanca/Spazio53

PER STEFANIA MOGLIA, segretaria della Cgil locale, Voghera «è un esempio di fanalino di coda di un paese in crisi, provato da una deindustrializzazione dalla quale non riesce a riprendersi. Qui si fa ancora più fatica. In Lombardia le maggiori richieste di Redditi di emergenza e di cittadinanza arrivano dall’Oltrepò». La sindacalista dipinge una storia dell’economia: «Da bambina vogherese degli anni Ottanta vivevo in un tripudio di negozi e fabbriche. Oggi il lavoro è quello pessimo, precario e sotto ricatto, degli appalti e subappalti nella logistica e nei centri commerciali. Non c’è più buona occupazione. Una volta il pendolarismo verso Milano era una scelta, oggi è una necessità che coinvolge oltre 5 mila persone». E Voghera ha 39 mila abitanti.

ORA MOLTI LOCALI del centro sono sfitti, con le vetrine vuote abbellite da foto storiche. Negli ultimi vent’anni sono stati concessi capannoni commerciali fuori città, a discapito dei negozi di quartiere. Uno svuotarsi che corre parallelo alla denatalità. «Se al lavoro ti tengono per il collo – prosegue Moglia – e nei nidi pubblici non ci sono posti, come possono i giovani formare una famiglia? Per le lavoratrici, poi, c’è stato un ritorno forzato al focolare per la pandemia: qui, l’anno scorso, a dare le dimissioni sono state per il 90% donne».

DA VENT’ANNI la popolazione vogherese non decresce solo grazie agli stranieri in costante aumento: sono oltre il 14% dei residenti (a Milano sono il 20%, la media nazionale Istat è dell’8,5%), e i marocchini – come Youns, che era irregolare – sono secondi per numero dopo la comunità romena. Voghera rappresenta quella provincia italiana del Nord che si è scoperta multietnica nel giro di vent’anni, con un’accelerazione portata dai giovani richiedenti asilo.

DIVENTA FACILE, per gli xenofobi – e in mancanza di soluzioni dalla sinistra – giocare sulla discriminazione contro tutti gli immigrati, approfittando di stranieri che bivaccano nei parchetti. La sensazione di pericolo da parte dei cittadini è un fatto. Sergio Vitellini, volontario Spi-Cgil, spiega che «gli anziani la sera non escono, hanno una paura che è stata fomentata negli anni, ma qualche verità c’è».

UNA QUALCHE VERITÀ che filtra dai numeri degli emarginati per cui lavora il centro a bassa soglia Baraonde, che a Voghera ha un progetto finanziato da Regione Lombardia e coordinato sul campo da Mauro Cecchetto. «Prima del lockdown – spiega Cecchetto – venivano da noi 327 persone, oggi sono 108. L’emarginazione degli ultimi vent’anni è sempre più complessa. Non è colpevole una sola amministrazione, ma un generale sistema dell’assistenza che ha fallito perché ha pagato lo scotto della riduzione di risorse ed è rimasto alla cura delle dipendenze, mentre oggi la marginalità è rappresentata da una parte dagli italiani che perdono lavoro e residenza e si ritrovano per strada senza documenti, e dall’altra dalla marginalità sempre più numerosa degli stranieri. Chi è senza fissa dimora non può accedere a sostegni economici o percorsi di reinserimento». Ecco perché queste persone rimangono invisibili. Anche ai cittadini: gran parte dei senzatetto non si rifugia sulle panchine, ma negli edifici dismessi della ferrovia. «Accade dappertutto – conclude Cecchetto – Per questo credo che la morte di Youns sia responsabilità di tutto un sistema». Ora si aggiunge «il disastro dello sblocco degli sfratti – dice una fonte del Comune – che coinvolge italiani e stranieri. Adesso non ci sono bandi di case popolari, e quando ci sono non bastano. Mancano risorse e personale: è un disastro che riguarda almeno tutta la Lombardia».

CHE VOGHERA non sia un caso, ma uno specchio dell’Italia, lo dimostrano anche la politica e il malaffare. Nel 2010 l’amministrazione ha posto una targa in ricordo di sei fascisti fucilati dai partigiani, proprio accanto a un muro del castello visconteo di piazza della Liberazione che era prigione fascista. Le proteste non sono servite, la targa è ancora lì. «Un consigliere di maggioranza disse che volevano riscrivere la storia», racconta il responsabile dell’Anpi locale, Antonio Corbeletti. Nel 2012 la locomotiva a vapore in viale Marx, simbolo di una città ferroviaria, fu spostata per guadagnare un parcheggio: prima abbandonata sui binari, è finita nell’Officina grandi riparazioni. Nel frattempo l’allora sindaco di Forza Italia Carlo Barbieri era stato dieci giorni agli arresti domiciliari, accusato tra l’altro di corruzione: vicenda poi chiusa per prescrizione.

NEL 2015 BARBIERI è diventato di nuovo sindaco per un soffio, con elezioni contestate che hanno portato al commissariamento della città. Elezioni ripetute e vinte ancora da Barbieri al ballottaggio con il 50,7%; a perderle, un avversario sempre di destra: Aurelio Torriani, sindaco per i primi dieci anni del Duemila ed ora assessore al Bilancio. Oggi a Voghera si parla ancora di affidabilità del voto, poiché l’assessore al Commercio, la leghista Francesca Miracca, è indagata per corruzione elettorale.

RIFLESSI D’ITALIA sono anche quelli del gioco e della criminalità organizzata. A fine 2016 qui la ‘ndrangheta è venuta allo scoperto – come era stato qualche anno prima per Pavia – con la Dda di Reggio Calabria che a Voghera e dintorni ha arrestato otto persone. Uno di loro ha raccontato di recente che la cosca gestiva affari edilizi, droga e armi. Pochi mesi prima Voghera era sui giornali la «città del gioco d’azzardo», che con una slot machine ogni 98 abitanti aveva persino superato Pavia, la «Las Vegas d’Italia»: secondo l’associazione NoSlot, nel 2016 erano finiti nelle macchinette vogheresi 80 milioni di euro. Quasi 20 in più di tutto il bilancio comunale.

LA CITTÀ E L’OLTREPÒ hanno un’altra cronaca alla quale affidarsi per ricostruire il tessuto sociale: nel 2015, a Retorbido, confinante con Voghera, migliaia di persone coordinate da un comitato manifestarono contro un inceneritore da 32 mila tonnellate annue di pneumatici. I cittadini si unirono per tutelare ambiente e salute: tre anni fa il Tar mise fine alle pretese della Confindustria. Voghera, come altre zone d’Italia, potrebbe ripartire iniziando a valorizzare sul serio le risorse paesaggistiche e culturali del territorio.