Nei giorni scorsi è stato portato a conoscenza dell’opinione pubblica quello che a solo pochi amici e alle autorità di sicurezza era noto da settimane: Gianfranco Bettin -storico collaboratore de il manifesto, già deputato dei Verdi, attivista pacifista ed ecologista in prima fila nella battaglia per Marghera, ora assessore all’ambiente al Comune di Venezia – è pesantemente minacciato (e con lui anche i suoi familiari) dalla criminalità locale di Mestre che da giorni cerca di intimidirlo.

Telefonate nel cuore della notte e minacce di morte recapitate nei modi più vari (tra cui il disegno di una bara sullo specchio dell’ascensore del condominio dove abita) segnalano un rischio da non sottavalutare: il mondo dello spaccio di droga e della malavita locale -cui Gianfranco Bettin ha dato molto fastidio, portando alla chiusura di luoghi noti di spaccio a Marghera e a Mestre- è l’ambito di cui sembra più naturale sospettare.

Gianfranco Bettin in questi anni si è speso senza sosta per gli «ultimi»: per i marginali e i richiedenti asilo, per i tossicodipendenti e le persone in difficoltà, per i profughi jugoslavi ed i Rom e per quella popolazione di Marghera afflitta – con le sue centinaia di morti di cancro- dai nefasti danni causati da un «petrolkiller» ormai finalmente quasi archiviato. E’andato a Belgrado sotto le bombe della Nato del 1999 e a Sarajevo con Don Tonino Bello nella città assediata dai cecchini del dicembre del 1992.
Non è la prima volta che Bettin è colpito da questi circoli malavitosi. Nel 1996, quand’era prosindaco di Venezia, fu oggetto della simulazione di un’«esecuzione» (alcuni criminali lo sequestrarono e gli puntarono la pistola alla tempia premendo il grilletto di un’arma per fortuna scarica), e da allora ha vissuto per anni sotto scorta. Di questo sottobosco (e anche del bosco) della criminalità veneta legata al malaffare e alla droga Bettin si è occupato anche come sociologo e come scrittore. E se ne è interessato anche per indagare quegli aspetti reconditi e perversi della mutazione sociale e antropologica prodotta dai tanti «schei» arrivati con il boom degli anni ’80 e con il modello Nord Est. Mirabile -per capacità di intrecciare il registro narrativo e quello dell’inchiesta sociale, molti anni prima di Saviano- fu il suo libro pubblicato da Feltrinelli nel 1992 sulla vicenda di Pietro Maso e dell’assassinio dei suoi genitori per mettere le mani sul malloppo dell’eredità e godersi la bella vita.

Su quel modello Nord Est (quello della mutazione antropoligica raccontataci da Zanzotto) e su quel che ne resta, la criminalità (droga e non solo) e l’affarismo politico-clientelare (grandi opere e anche altro, come la recente vicenda di tangenti che hanno visto coinvolta la segretaria di Galan) non hanno mollato la presa. Un giornalista competente come Renzo Mazzaro ha mostrato nella sua inchiesta «I padroni del Veneto» (pubblicata da poco da Laterza), come questa regione sia stata un boccone prelibato di chi voleva continuare ad accumulare potere e «schei». A questo sistema di potere (e a quella criminalità a questo connesso), Bettin si è sempre opposto con coraggio e determinazione.
Sulla vicenda delle minacce a Gianfranco Bettin alcuni parlamentari hanno presentato un’interrogazione e c’è chi -come il sottoscritto- ha scritto al Ministero dell’Interno per avere spiegazioni e capire cosa stanno facendo le autorità di pubblica sicurezza: al momento da Alfano nessuna risposta. Aspettiamo fiduciosi un riscontro entro questa settimana. Gianfranco Bettin non è solo e c’è un modo per continuare a stargli vicino: mandandogli un messaggio di solidarietà a questo indirizzo: assessore.bettin@comune.venezia.it