Gli storici abituati a riflettere in termini filosofici sulla propria disciplina sanno bene quale ruolo cruciale occupi la memoria, sia per lo svolgersi degli eventi nel passato, sia per la loro ricostruzione in sede storiografica. In entrambi i casi il ricordo, come pure l’oblio, non sono mai casuali, e intervengono sempre in relazione ai bisogni di una data epoca e di un certo gruppo sociale. Non a caso la memoria è selettiva, come hanno evidenziato pensatori anche molto diversi fra loro: da Nietzsche, secondo cui lo studio della storia è utile solo nella misura in cui può servire alla vita e ai suoi bisogni, a Croce, per il quale il bisogno di ricordare e conoscere certi momenti della storia passata deriva sempre dalle esigenze della contemporaneità.

La consapevolezza che il lavoro dello storico debba necessariamente fare i conti con la sedimentazione e l’ibridazione di memorie e interpretazioni parziali è ormai un dato acquisito da quando, a partire dagli anni Settanta e Ottanta, la storia culturale ha prodotto un generale ripensamento delle impostazioni storiografiche tradizionali, ponendo al centro del lavoro dello storico dimensioni prima trascurate come il linguaggio, le rappresentazioni, gli immaginari e i sentimenti. Aspetti cruciali che andrebbero però sempre ricondotti a una visione della storia di tipo «integrale» (dialettica, avrebbe detto Hegel), attenta, cioè, a non separare ed assolutizzare in modo astratto i singoli aspetti della realtà: la cultura, il linguaggio, la politica, l’economia, e via di seguito.

SUL SENTIERO di un equilibrato e fecondo confronto critico con le potenzialità e i limiti della storia culturale si colloca senz’altro l’ultimo volume di Fulvio Conti, dedicato a vari temi relativi alla storia politica e culturale dell’Italia tra Otto e Novecento (Italia immaginata. Sentimenti, memorie e politica fra Otto e Novecento, Pacini, pp. 240, euro 16). I saggi qui raccolti esplorano diversi aspetti come la funzione delle relazioni affettive nell’evoluzione del sentimento patriottico, il ruolo svolto dalla memoria e dal culto degli eroi risorgimentali, il posto occupato dagli intellettuali – inclusi gli scienziati – nella definizione dei modelli di «italianità», nonché il ruolo specifico assunto dalla massoneria nella definizione di questi processi.

SI TRATTA DI ASPETTI solo apparentemente eterogenei, e che possono essere ricondotti a due questioni fondamentali, fra loro connesse: la costruzione dell’identità nazionale da parte delle élites risorgimentali e postrisorgimentali e la dimensione «sacra» della politica nell’età contemporanea.
Il primo aspetto si ricollega direttamente alla questione della selettività della memoria. Tra i casi più emblematici rievocati da Conti vi è quello dell’«invenzione» del mito dantesco come simbolo dell’italianità, destinato a svolgere un ruolo importante anche nella politica culturale del ventennio fascista. Il «monoteismo dantesco» – per riprendere un’espressione crociana – nacque all’inizio dell’Ottocento per opera di letterati e patrioti romantici, che videro in Dante, intellettuale impegnato e condannato all’esilio, un anticipatore dei movimenti risorgimentali, da contrapporre al modello negativo di Petrarca, rappresentante di un’Italia clericale e aristocratica, senza né patria né fede politica.

LA COSTRUZIONE selettiva del pàntheon della nazione, come ricorda Conti, è un aspetto centrale di quella sacralizzazione della politica che è figlia della Rivoluzione francese, vero momento aurorale dell’età contemporanea. Furono i giacobini francesi, rielaborando e secolarizzando modelli culturali cattolici e recuperando elementi simbolici dell’età classica, a introdurre come nuovi elementi della religione della patria il popolo, la nazione e i suoi eroi. La sfera sentimentale del patriottismo fu pronta a saldarsi con quella della famiglia borghese, così da configurare in molti casi una convergenza fra l’amore di coppia e la devozione per la causa nazionale. Questo orizzonte valoriale, tipico del Romanticismo, svolse un ruolo non secondario anche nel caso della vicenda risorgimentale italiana. Come sottolinea Conti, è all’interno di questo quadro che risulta confermato un ruolo importante delle donne nelle vicende del Risorgimento, di norma a fianco dei loro compagni, in veste di scrittrici, poetesse o giornaliste.
Un ruolo molto più pronunciato all’interno delle coppie appartenenti al variegato universo della sinistra, democratica, socialista o anarchica, che sarà protagonista a inizio Novecento delle battaglie per l’emancipazione femminile.