Il Black History Month (il Mese della Storia dei Neri) è nato nel 1970 negli Stati Uniti dove è anche noto come African-American History Month (Mese della Storia Afroamericana). Nasce come un momento di memoria e riflessione su eventi e personaggi importanti nella storia della diaspora africana. Si celebra a febbraio negli Usa e in Canada, a ottobre in Irlanda e nel Regno Unito.

IN BRASILE, il paese che riunisce il maggior numero di afro-diasporici del continente americano, il mese di novembre – in cui si si celebra O Dia Nacional da Consciência Negra (La Giornata Nazionale della Coscienza Nera) – è da decenni un punto di riferimento per attività di lotta e resistenza degli afro-discendenti che storicamente sono oggetto di razzismo articolato nelle diverse sfere della società. Come la morte a Rio di Moise Kabagambe, un rifugiato congolese ucciso dal suo datore di lavoro a calci e bastonate la scorsa settimana, dimostra. Colpisce la discrepanza tra la visibilità della violenza contro persone nere negli Usa, assolutamente legittima e dovuta, e il silenzio sul Brasile dove gli indici di violenza della polizia e di razzismo strutturale sono spaventosi. Lo sono sempre stati e si sono seriamente aggravati con l’attuale governo Bolsonaro. Che, a partire dall’assassinio di Marielle Franco, ha dato “carta bianca” alla mattanza di persone indigene e nere.

 

 

DAL 2016 ANCHE IN ITALIA il progetto Black History Month Florence si pone l’obiettivo di esplorare le culture africane e afro-discendenti nel contesto italiano. Justin Randolph Thompson, afroamericano che dal 1999 lavora tra Italia e Usa ed è direttore dell’evento, in un’intervista indica nell’«appiattimento e cancellazione della storia nera nel contesto italiano» una delle motivazioni alla base del nascere del progetto, che da Firenze si è esteso a Bologna per approdare quest’anno a Torino.

Black History Fuori le Mura propone una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History. Nel contesto italiano – nota Thompson – manca una visione storica della presenza afro-discendente sul territorio che viene invece considerata solo come risultato della migrazione contemporanea, di cui peraltro si ha una visione molto limitata che non considera diversi paesi di provenienza, diverse culture, le storie individuali di ogni singolo migrante.

COME SPESSO SUCCEDE il continente africano fatica a vedere riconosciuti i suoi 54 paesi, le sue innumerevoli lingue, a volte chiamate addirittura dialetti, le sue storie uniche, come uniche sono le storie dei paesi europei. Nel caso dell’Italia manca un dialogo storico con l’Africa, e questo riguarda anche lo scarso dibattito intorno al tema del colonialismo italiano.

Il tema di quest’anno, FUGA, prende spunto dal libro di Stefano Harney e Fred Motten The Undercommons: Fugitive Planning and Black Study (2013), recentemente tradotto in Italia da Emanuela Maltese, e pubblicato da Tamu Edizioni (Undercommons. Pianificazione fuggitiva e studio nero). Come si legge nella prefazione della versione italiana il libro è un «invito a sperimentare nuove forme di socialità nell’antagonismo generale». Così sin dalla sua prima edizione il BHM si è organizzato attraverso una rete di collaborazioni che ha portato la versione Fuori le Mura a “fuggire”.

NON SI TRATTA DI UNA FUGA fisica, ma di svincolarsi da una serie di definizioni di blackness che riflettono un’immaginazione molto limitata perché frutto di una storia incompleta. Si tratta inoltre di stimolare una riflessione sui movimenti transnazionali che caratterizzano le realtà contemporanee in opposizione alla volontà degli apparati socio culturali del mondo occidentale nel mantenere una posizione statica e subordinante. È un invito a riflettere sulla obsolescenza che continua a persistere nella specificità del contesto italiano in relazione al discorso su popoli e culture di origine africana all’interno dei mass media, delle strutture istituzionali e anche del discorso accademico. E sia i monologhi sul palco, sia i commenti ad essi riferiti apparsi sui social media, durante la settimana di quello che viene definito il maggiore fenomeno di cultura nazional popolare, il Festival di Sanremo, ne hanno dato ampiamente prova.

IL PROGRAMMA DI TORINO promosso dalla Associazione delle Donne dell’Africa Subsahariana e II Generazione con titolo Necessary Roads (Cammini Necessari) esprime la necessità di un gruppo di donne afro-discendenti di diverse generazioni di parlare della loro esperienza in un territorio scelto o trovato. Il programma si articola nel mese di febbraio attraverso quattro temi, «passato», «corpo», «mente», «futuro» e tre parole chiave, «scoprire», «ascoltare», «immaginare». Prevede dibattiti, letture, presentazioni in presenza e online, laboratori di musica e danza, sessioni di cinema e serate musicali (oggi ad esempio alle 16,30 presso il Polo Culturale Lombroso si presenta Il peso del colore. Lavoratrici afrodiscendenti in Italia – un’analisi intersezionale – Gabrielli editori).

PECULIARITÀ DELL’EDIZIONE torinese è la predominanza di nomi femminili non solo nel programma degli eventi – tra questi un interessante dibattito venerdì scorso sulla partecipazione pubblica di cittadini italiani afro-discendenti in politica dal titolo «Figlie e figli della diaspora: le istituzioni cambiano pelle» (disponibile online) – ma anche nel gruppo organizzativo, una associazione di donne dal 2007 impegnate ad aiutare donne immigrate e rifugiate.

Mentre ancora si fatica ad associare le manifestazioni di neocolonialismo contemporaneo alle origini storiche del passato colonialista e fascista italiano, il BHM intende dare ascolto alle ripercussioni non solo fisiche e sociali ma anche mentali di tali manifestazioni. Si tratta di cambiare i presupposti del dibattito. Come è stato detto nella conferenza di apertura: «Non dateci voce, dateci orecchio».

Errata Corrige

Il “Mese della Storia Nera” in versione italiana riflette sul colonialismo rimosso e sull’esperienza di donne afro-discendenti in un territorio scelto o trovato: «Non dateci voce, dateci orecchio». FUGA… da una serie di definizioni di “blackness” che riflettono una storia incompleta