Scene di risse, scandali, speculazioni anche sulle mascherine, accuse che rimbalzano tra le parti politiche, Stati frugali versus Stati presunti cicale e giornalisti e media che sguazzano a raccontare le miserie quotidiane della politica. Un’entropia crescente.

Possiamo, invece, cercare di ri-conoscere le cose buone che, malgrado tutto, si sono manifestate in questa pandemia? Al di fuori di ogni valutazione politica? Perché un “mondo diverso” non ci sarà fintanto che ne discutiamo solo politicamente.

All’orizzonte non ci sono, come dice Alberto Leiss (il manifesto del 26 maggio), collettivi politici salvifici che, semmai, sono solo nella nostra testa e nelle nostre fantasie.

Dal vaso di Pandora della pandemia sono però uscite sommessamente anche voci ed esperienze che prima mai si sarebbero manifestate. La presa d’atto di un’immensa fragilità di specie che ha spazzato via, nella testa di molte persone, quella hybris arrogante che ci autorizzava a comportarci come i padroni del mondo, unica e sola specie vivente degna di considerazione.

Non tutti hanno recepito il messaggio nuovo. Molti sono ancora confusi, altri sono convinti che prima o poi si tornerà alla “normalità”, quella normalità che ora si comincia a percepire piuttosto come una minaccia portatrice di tanti (e futuri?) disastri.

Ma se questa convinzione si comincia a diffondere, su quali basi potrebbe, non dico affermarsi ma, almeno costituire una breccia nel lungo pensiero neoliberista, come una crosta imputridita, che ha devastato le nostre menti? Di quale forza è dotata e su quali nuovi pensieri si basa?

Non bastano i pur validi appelli contro i mali del mondo, le proteste, le grida al Governo. Servono semmai esempi che non possono venire da chi ci governa, parlamentari o governatori che siano.

Faccio un solo esempio: la movida e gli assembramenti in genere sono in questo momento pericolosi, ma nemmeno possono essere repressi autoritariamente, meno che mai da un esercito di assoldati allo scopo.

C’è una voglia di vedersi e d’incontrarsi che magari si manifesta in modi pericolosi per la salute pubblica, ma si tratta pur sempre di manifestazione dettata dal desiderio (tutto umano) di non disperarsi in solitudine, chiusi nei recinti dei propri appartamenti.

Allora in che modo dare loro modo di esprimersi? Perché tutti noi pensiamo che quei desideri che sono alla base di questi comportamenti sono anche i nostri, sono di tutti gli umani che in primo luogo sono individui sociali.

Qui si sconta l’assenza della politica (che quando c’è si manifesta inevitabilmente in forma autoritaria e di controllo), l’assenza di un pensiero positivo che non sia il mantra liberista del laissez faire dell’economia di mercato, del consumismo, del tutto o niente senza mediazioni. Le persone, i giovani soprattutto, dovrebbero sviluppare loro, ognuno per proprio conto, una coscienza del limite e, dentro il “limite”, sviluppare e organizzare le proprie creatività.

A partire, per esempio, dalla scuola, dall’università, perfino dai modi in cui organizzare oggi le proprie vacanze estive che dovrebbero essere all’insegna di una ritrovata solidarietà di specie.
Solo così avrebbe senso quella frase ipocrita pronunciata da politici e amministratori: ce la possiamo fare.

Sì ce la possiamo fare solo producendo pensieri positivi e azioni conseguenti a tali pensieri, conferendo senso all’altra frase di moda: niente sarà come prima. Ma dovremmo prima imparare a non pensare mai più come prima, a ignorare i complotti e gli intrighi della politica, coprirli e neutralizzarli coi nostri pensieri nuovi ed azioni.

Solo in questo caso il “limite” di ciò che possiamo fare e pensare acquisterà una dimensione finora sconosciuta e nuova: quella di sapere che viviamo, anzi con-viviamo assieme a tante altre specie che finora abbiamo considerato solo merci da sacrificare in nome di un Progresso che appare sempre più un vicolo cieco senza uscita.

Questo il senso di un appello che non ha bisogno di sostenitori: liberiamoci delle idee che ci hanno fatto abbracciare questo pensiero di morte, di autodistruzione e ignoriamo le inutili e stanche dispute della politica per produrre noi, noi tutti liberi cittadini, un’egemonia di pensiero fondata sulla convivenza planetaria, l’unica che può salvarci.