La Corte di giustizia europea ha bocciato la legge italiana che impone di pagare una tassa fra gli 80 e i 200 euro ai cittadini extracomunitari che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno. “Il costo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla normativa Ue – segnala la Corte – e può creare ostacoli all’esercizio dei diritti”.
Esultano Cgil e Inca, che sul costo eccessivo della tassa sui permessi di soggiorno avevano promosso un ricorso al Tar del Lazio, poi trasmesso alla Corte europea perché i giudici amministrativi hanno ritenuto che fosse necessario esaminare la compatibilità delle norme italiane con le disposizioni del diritto dell’Unione. “La sentenza non può essere ignorata dal governo italiano – avvertono subito Cgil e Inca – pertanto chiediamo che l’esecutivo si attivi subito, riducendo drasticamente il costo per il rilascio e il rinnovo di tutti i permessi di soggiorno, senza aspettare il pronunciamento del Tar che comunque dovrà recepire la decisione del tribunale europeo”.
Ad essere bocciato è stato il decreto 304 del 31 dicembre 2011 (governo Monti), entrato in vigore il primo gennaio 2012. Peraltro la tassa si assomma a tutta una serie di altre spese che i cittadini extracomunitari devono sostenere per ottenere il documento. Il contribuito si aggiunge agli oneri relativi al costo del permesso elettronico (27,50 euro per un permesso di oltre 90 giorni), alla marca da bollo da applicare sul modulo compilato (16 euro), alle spese postali da pagare al momento della spedizione dell’assicurata contenente la domanda (30 euro).
“Il balzello che va dagli 80 ai 200 euro – riassumono Cgil e Inca – si aggiunge alla tassa precedentemente fissata di 73,50 euro. Ed è significativo che questa sentenza esca mentre l’Europa è attraversata da rigurgiti nazionalisti, da chiusure verso i disperati che cercano sicurezza e lavoro, da inaccettabili respingimenti, e da provvedimenti di riduzione del welfare che colpiscono in particolare i migranti, anche comunitari. Ancora una volta i provvedimenti della Corte appaiono più avanzati, e rispettosi del diritto delle persone, rispetto alle stesse politiche europee”.
Sul piano giuridico, la Corte di giustizia ricorda che “l’obiettivo principale della direttiva Ue sullo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo è l’integrazione”. E, sebbene gli Stati membri abbiano un margine discrezionale per fissare l’importo dei contributi, “tale potere discrezionale non è illimitato”. A questo riguardo, la Corte aveva già sentenziato nel 2012 su una causa fra Commissione e Olanda, segnalando che uno Stato membro dell’Ue rispetta la direttiva “solo se gli importi dei contributi non si attestano su cifre macroscopicamente elevate e quindi sproporzionate rispetto all’importo dovuto dai cittadini di quel medesimo stato per ottenere un titolo analogo, ad esempio la carta nazionale d’identità”. Per la cronaca, l’Olanda prevedeva un importo pari a circa sette volte l’importo richiesto per la carta d’identità. Un documento che in Italia costa oggi 10 euro.
Soddisfatti della sentenza della Corte europea anche Sel, per bocca di Arturo Scotto, e gli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. Furiosa la Lega.