La contesa elettorale in Kenya ha avuto una conclusione formale, dopo quattro mesi di votazioni, corsi, ricorsi, accuse di brogli e violenze, alle 10 di ieri mattina, quando la Corte suprema ha respinto all’unanimità due istanze contro l’elezione di Uhuru Kenyatta.
Tutto era iniziato l’8 agosto con la vittoria di Kenyatta poi cancellata per «illegalità e irregolarità» dalla Corte suprema; erano seguite nuove elezioni il 26 ottobre boicottate dall’opposizione che avevano confermato  Kenyatta; successivamente un nuovo ricorso aveva tentato di annullarle fino ad arrivare alla decisione di ieri.

Si chiude così formalmente questa lunga fase elettorale segnata da decine di morti, entusiasmo, lacrime e crescenti sofferenze soprattutto tra le fasce più povere della popolazione che hanno potuto lavorare pochissimo viste le manifestazioni, i blocchi e le violenze che hanno coinvolto molto zone della capitale e di Kisumu.

Solo l’altro ieri si sono registrati sei morti nel quartiere di Baba Ndogo («piccolo papà», per ricordare il missionario che ha fondato il quartiere), oggi tutta la zona di Korogocho è off limits, il quartiere è stato isolato dall’esercito e non si può né uscire né entrare: due giornalisti del Nation (Stella Cherono e Brian Moseti) sono stati picchiati. La situazione è ulteriormente peggiorata dopo l’annuncio della Corte suprema, con scontri violenti tra dimostranti e forze di polizia. Fuori Nairobi a Kondele è stata bruciata una stazione di polizia.Violenze anche a Kibra e Migori dove risultano uccise, per colpi di arma da fuoco, almeno due persone.

Il leader dell’opposizione Raila Odinga ha spiegato che «ritiene le elezioni illegittime è che la sentenza della Corte suprema non muta la sua opinione». Ha poi precisato di non avere nulla contro i giudici perché «la loro decisione è avvenuta sotto costrizione, siamo solidali con la Corte: riteniamo questo governo illegittimo e non intendiamo riconoscerlo». Le elezioni restano per Odinga «non credibili, non libere, non regolari».

Al contrario grande soddisfazione per il partito del presidente e manifestazioni di gioia nei quartieri e nelle aree del Paese vicine alla coalizione di governo dove si ripeteva Uhuru tano tena (ancora cinque anni per Kenyatta): molti pianti e preghiere collettive improvvisate per le strade di Nairobi.

La sentenza non mette fine alla peggiore crisi politica degli ultimi 10 anni. Gli osservatori internazionali dell’Unione Europea e l’Organizzazione dell’Unità Africana sono molto preoccupati per la situazione del Paese dove l’identità etnica è più forte di quella nazionale. Ora spetta principalmente a Uhuru Kenyatta il compito (in salita) di unire una nazione frammentata: game over.

Tuendelee mbele, «andiamo avanti» ripetono i commercianti della city e dei mercati rionali, l’importante è sapere dove, senza lusinghe, senza premio, in gioco c’è la vita di 48 milioni di persone.