La Corte costituzionale ha deciso, e subito. Merita per questo un apprezzamento. Non pochi ritenevano che l’intervento della Corte sul Porcellum fosse un’indebita supplenza, e che si dovesse evitare puntando sull’inammissibilità della questione sollevata. Gli argomenti addotti non erano banali, se pure non conclusivi. Ma la Corte ha preferito mostrare che un garante della Costituzione – qual essa è – vale soprattutto nel momento in cui dissolve le zone grigie che si vorrebbero in qualsiasi modo sottratte all’intervento volto a tutela dei valori costituzionali. Merita un plauso.

Il compito non era facile. Sono state via via prospettate modalità molteplici per l’intervento della Corte, dal rigetto a una dichiarazione di totale illegittimità che avrebbe dovuto riportare in vita – secondo un’opinione – il Mattarellum. Opzione, questa, che avrebbe a mio avviso creato maggiori problemi di quanti ne risolvesse.

Secondo le scarne notizie di cui disponiamo, e assumendo che sarà poi necessaria una verifica in base alle motivazioni, la Corte ha scelto la via corretta, attenendosi a quanto prospettato nella questione sollevata e adottando una pronuncia mirata sui punti del Porcellum che maggiori dubbi avevano fatto sorgere fin dal primo momento: il premio di maggioranza svincolato da qualsiasi soglia, e la lista bloccata per tutti i parlamentari. In sede di giudizio di ammissibilità di referendum elettorali la stessa Corte aveva già espresso dubbi sul premio di maggioranza (in specie, 13/2012, e già 15 e 16/2008).

Dalla natura mirata della dichiarazione di illegittimità viene – a quanto è dato capire dalle prime notizie – un sistema elettorale proporzionale con lista e preferenza. Probabilmente, una legge immediatamente applicabile. Con la quale potremmo votare subito dopo il deposito della sentenza. La domanda è: quanto e come il parlamento può intervenire sulla disciplina legislativa come risulta dalla sentenza della Corte?

Non c’è dubbio che il legislatore possa riscrivere la legge elettorale. Ma non così come è oggi, e con qualche ulteriore vincolo. La sentenza della Corte sottolinea che esiste un valore che non può essere pretermesso o negato. È un valore di rappresentatività e democraticità del sistema, tradotto nella necessità che la legge elettorale non distorca oltre misura la rappresentanza politica e non neghi in assoluto qualsiasi scelta all’elettore. Questo ci dice ad esempio che un sistema elettorale non può essere scritto solo in chiave di stabilità e governabilità, con l’unico obiettivo di far sapere con certezza chi vince il giorno stesso del voto. Per questo, il meccanismo del Porcellum sarebbe stato ottimale.

Bastava riscrivere il premio su base nazionale anche per il senato. La Corte ci dice che bisogna invece almeno contemperare stabilità e governabilità con la rappresentatività. Ad esempio, una lista bloccata parziale – sul modello tedesco – rimane probabilmente possibile. Un premio di maggioranza innestato su un sistema già intrinsecamente maggioritario e senza alcun diritto di tribuna probabilmente no.

Rimane una domanda. Cosa accade del – e nel – parlamento in carica? Formalmente, nulla. I parlamentari – eletti in base alla legge all’epoca vigente – rimangono al proprio posto. Ovviamente, non sfugge che dal punto di vista sostanziale le cose invece cambiano, e molto. Gli equilibri della camera dei deputati, in specie, sono decisivamente conformati proprio dal premio di maggioranza dichiarato illegittimo.

Questo non può che ulteriormente indebolire il governo, e aggiungere un argomento a favore di elezioni al più presto. Soprattutto, può incidere sull’indirizzo politico. Per quanto riguarda la risposta alla crisi, la necessità di risposte urgenti non è affatto indebolita. Si può invece dubitare che resista l’ambizioso programma di revisioni della Costituzione, che rimarrebbero affidate a un parlamento profondamente e sostanzialmente viziato nella sua composizione dal premio di maggioranza ora espunto dalla legge.

Ci vorrà qualche tempo prima che la Corte depositi la sentenza. È bene che non sia lungo. E saggezza vorrebbe che tutti lo impiegassero per riflettere a fondo sulle sorti della res publica.