Nella giornata di ieri, con una sentenza clamorosa espressa all’unanimità da un pool di cinque giudici, la Corte suprema pachistana ha decretato l’ineleggibilità del premier Nawaz Sharif, diciottesimo primo ministro nella storia del Pakistan.

La sentenza, relativa alle indagini aperte in seguito alle rivelazioni dei Panama Papers del 2016 che interessavano la famiglia Sharif, ha costretto il primo ministro alle dimissioni, in virtù della decadenza da parlamentare sancita dalla Corte.

Il verdetto parla di «disonestà» di Sharif davanti al parlamento pachistano circa l’acquisto, all’inizio degli anni Novanta, di diverse proprietà immobiliari a Londra attraverso società offshore basate nelle Isole Vergini.

Tali acquisizioni, non dichiarate da Sharif, sono documentate nelle carte riservate fatte trapelare alla stampa internazionale nel 2015 da una fonte ancora anonima: più di 200mila documenti che, in un anno di verifiche condotte dall’International Consortium of Investigative Journalism, furono pubblicate da numerose testate internazionali nell’aprile del 2016, sotto il nome di Panama Papers.

Nelle carte è emerso che le società offshore erano intestate a tre figli di Nawaz Sharif, all’epoca delle acquisizioni ancora minorenni, e che le proprietà acquistate non solo non furono dichiarate al fisco pachistano ma, questa l’ipotesi di reato, sarebbero state utilizzate per riciclare denaro sporco ed evadere le tasse.

Inoltre, Sharif stesso ricopriva la carica di presidente di una società d’investimenti con sede a Dubai, circostanza che non aveva dichiarato nei documenti per le elezioni del 2013. Accuse che Sharif e la sua famiglia hanno sempre negato, anche di fronte al parlamento nazionale, sostenendo che tutte le proprietà furono acquistate regolarmente prima della sua entrata in politica.

Le indagini che coinvolgono la famiglia Sharif, dinastia politica tra le più ricche e influenti nel paese, hanno registrato una svolta clamorosa all’inizio del mese di luglio.

Maryam Nawaz Sharif, figlia dell’ormai ex primo ministro pachistano considerata l’erede politica del padre, aveva sostenuto di essere semplicemente uno dei membri del consiglio d’amministrazione delle società, in realtà appartenenti al fratello, imprenditore senza alcuna velleità politica.

A riprova del fatto, aveva prodotto in sede legale un documento firmato da lei e dal fratello datato febbraio 2006. Ma il documento word, scritto col font Calibri, è risultato essere falso: il font, è stato fatto notare, non sarebbe stato commercializzato prima del 2007.

La decadenza del primo ministro in carica rischia di destabilizzare ancora di più la situazione politica già tradizionalmente precaria del Pakistan. Sharif, dimessosi pur avanzando «riserve» circa la sentenza, rimane a capo del partito di governo Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N) e avrà il diritto di nominare un primo ministro ad interim che traghetti il paese alle elezioni nazionali, già programmate per il 2018.

Secondo le prime indiscrezioni, l’incombenza potrebbe toccare al fratello di Nawaz, Shehbaz, già chief minister della provincia del Punjab.

Imran Khan, leader del principale partito d’opposizione Pakistan Tehreek-e-Insaf (movimento pachistano per la giustizia) e tra i promotori della denuncia contro la famiglia Sharif alla luce dei Panama Papers, in una conferenza stampa ha dichiarato: «La nostra battaglia ha provato che anche nel nostro paese i potenti devono rispondere delle loro azioni di fronte alla legge».

Nella storia del Pakistan, dal 1947 a oggi, nessun primo ministro ha mai concluso un intero mandato.