In Italia dei 1.700 ergastolani, 1.200 sono ostativi. Per il 75% degli ergastolani italiani la liberazione condizionale è un istituto che rimane “sulla carta”, sanno che esiste, ma non la otterranno mai. Questo perché tutti i benefici penitenziari, per le persone condannate per uno dei reati ricompresi nell’articolo 4bis dell’ord. pen., possono essere concessi solo a fronte di una utile collaborazione con la giustizia.

Sei un ergastolano ostativo? Collabora, il gioco è fatto. Vero, ma anche no. Esiste la libertà morale di non barattare la propria libertà personale con quella altrui, magari un fratello. Esiste il diritto al silenzio, un diritto inviolabile della persona, che non può evaporare solo perché il processo di cognizione è finito. Esiste la paura, vale a dire il rischio per la vita e la incolumità di chi collabora e dei propri famigliari, iniziando dai figli. E va detto che esiste anche uno Stato, il nostro, che non prende sul serio il sistema di protezione dei collaboratori di giustizia. A detta del procuratore nazionale antimafia, è da ripensare completamente: scarse risorse finanziarie e di personale, cambio di identità concesso di rado, abbandono del collaboratore e dei famigliari, scarsa vigilanza e controllo. Del resto, una domanda ragionevole, che germoglia dalla comune esperienza: cosa può garantire che una persona che ha collaborato, in realtà, non lo abbia fatto per tornare a delinquere, per vendicarsi, per mero calcolo processuale?

In questo scenario, non certo inaspettata, è giunta, il 13 giugno 2019, la sentenza Viola v. Italia n. 2 della Corte europea dei diritti umani. Due, tra i tanti, gli aspetti da evidenziare.

Il merito. La disciplina italiana dell’ergastolo ostativo viola l’art. 3 della Convenzione, poiché non permette al giudice di valutare altro rispetto alla non collaborazione con la giustizia. Se la persona ha intrapreso, nel corso della detenzione, un percorso positivo – anche grazie ai direttori di carcere, alla polizia penitenziaria, agli educatori, alla famiglia – il giudice non ne può tenere conto, poiché ciò che conta è solo che, potendolo fare, non ha collaborato.

Nel metodo. La sentenza Viola è quasi-pilota: dato che nelle condizioni di Viola si contano 1.200 ergastolani, la Corte, che potrebbe ricevere ricorsi da tutte queste persone, decide di indicare allo Stato le misure generali da prendere. Il problema è strutturale, si deve intervenire verso tutti, preferibilmente con una riforma legislativa. Ma, ovvio, non è l’unica possibilità, tanto è vero che la Corte stessa richiama la questione di costituzionalità pendente alla Consulta, in attesa di essere discussa il 22 ottobre 2019.

Due ulteriori notazioni. La sentenza Viola diverrà definitiva il 13 settembre 2019, fino allora il governo può chiedere il rinvio alla Grande Camera. Dubito che, se chiesto, sarà accettato, il percorso giurisprudenziale della Corte, su questa importante questione, è lineare. Per quanto riguarda il caso all’attenzione della Consulta, non resta che attendere, speranzosi. Riguarda il permesso premio e non la liberazione condizionale, tuttavia la sentenza Viola potrà aiutare (non poco) i giudici costituzionali nell’estendere la (eventuale) incostituzionalità, ricomprendendo il permesso premio, la semilibertà e la liberazione condizionale.

La Costituzione, appunto. L’impegno affinché rappresenti uno scudo per i diritti dei detenuti non si arresta mai. Si pensi alla decadenza dalla responsabilità genitoriale per gli ergastolani, alla eliminazione anche nel penale del ricorso personale in Cassazione, alla quadruplicazione dei reati contenuti nel regime ostativo, ora applicabile anche ai minori. Sono esempi.

Che vanno affrontati seguendo l’insegnamento di Umberto Veronesi. È come fosse ieri quando diceva che «la forza della democrazia è non avere paura».