Impedire alle coppie dello stesso sesso di sposarsi rappresenta una violazione del principio di uguaglianza ed è in contrasto con la Costituzione degli Stati uniti. Con questa motivazione il 4 settembre la Corte federale d’appello del Settimo Circuito, con sede a Chicago, ha confermato due sentenze di primo grado che, nei mesi scorsi, avevano cancellato i divieti dei matrimoni tra omosessuali sanciti nella Costituzione del Wisconsin e in una legge dell’Indiana.

Quella del Settimo Circuito è la terza pronuncia di una Corte federale d’Appello a favore del matrimonio egualitario e costituisce l’ultimo di una lunga serie di successi conseguiti negli ultimi quindici mesi dal movimento lgbt davanti a tribunali federali Usa. La sentenza è esecutiva, ma le autorità statali del Wisconsin e dell’Indiana hanno già annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte suprema federale. È probabile che, come avvenuto in precedenza con le altre sentenze d’appello che riguardavano Utah, Oklahoma e Virginia, l’efficacia di questa decisione sia sospesa in attesa di una pronuncia definitiva.

La sentenza di Chicago accelera il cammino verso una decisione da parte della più alta giurisdizione del Paese. La Corte suprema, infatti, sarà chiamata a decidere in via definitiva sulla questione al termine della prossima sessione di lavoro, entro il giugno 2015. Nel complesso, ad oggi sono una trentina gli Stati che proibiscono il matrimonio egualitario con norme di rango costituzionale o mediante leggi ordinarie. Solo la Corte suprema federale potrà dire l’ultima parola su queste misure, normalmente definite «same-sex marriage bans». I giudici supremi avranno davanti almeno 5 sentenze emesse da altrettante Corti d’appello: tre sono già state pronunciate.

Oggi il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale in 19 Stati e nella capitale Washington. Negli ultimi anni la visibilità lgbt è diventata sempre maggiore e il movimento è cresciuto e si è organizzato. Molto ha giocato, in questo sviluppo, il cambiamento del quadro politico e giurisprudenziale: da quando Obama è arrivato alla presidenza, le persone lgbt hanno conseguito importanti progressi normativi e, nel maggio 2012, lo stesso Obama ha dichiarato per la prima volta che «le coppie dello stesso sesso dovrebbero potersi sposare», una posizione poi inserita nella piattaforma con la quale i Democratici si sono presentati alle presidenziali di quell’anno.

Da ultimo, nel luglio scorso Obama ha firmato un Ordine esecutivo che vieta la discriminazione nei confronti delle persone lgbt che lavorano per il Governo federale o per le imprese private che stipulano contratti con il Governo federale. Il provvedimento riguarda gli oltre 4,3 milioni di dipendenti dell’amministrazione e i 28 milioni di lavoratori – nel complesso un quinto della forza-lavoro americana – che operano nelle 24.000 imprese legate al Governo da rapporti contrattuali. Sul fronte delle Corti, di grande importanza è stata la sentenza U.S. v. Windsor del giugno 2013, con la quale la Corte Suprema federale ha dichiarato incostituzionale una parte del Defense of Marriage Act del 1996, la legge che vietava al governo federale di riconoscere la validità e gli effetti dei matrimoni same-sex contratti all’estero o in singoli Stati dell’Unione che li consentissero.

Proprio quella sentenza ha aperto le porte ai successi giudiziari degli ultimi mesi.
È cambiata anche l’opinione pubblica: se nel 2004, secondo i sondaggi, in media il 33% si dichiarava per il matrimonio egualitario, da allora la quota dei favorevoli è aumentata a un tasso di crescita medio del 2% ogni anno. Tra il 2010 e il 2011, il numero dei favorevoli ha superato quello dei contrari e nel 2013 si è collocato al di sopra del 50%, per arrivare al 55% nel 2014. Il consenso è elevato tra i democratici (74%), gli indipendenti (58%) e gli under 30 (78%); sul piano geografico, è radicato nell’Est (67%) e nell’Ovest (58%) del Paese. Il mutamento dell’opinione pubblica è da attribuire al ricambio generazionale e al fatto che parte della popolazione ha cambiato idea sulla questione: i repubblicani che si dichiarano a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso sono il 30%, mentre il consenso tocca il 48% nel Sud, l’area più conservatrice del Paese, e il 42% tra gli ultra sessantacinquenni.

Nei prossimi mesi gli occhi saranno puntati sulla Corte Suprema. I giudici di orientamento conservatore sono in maggioranza (5 su 9), ma uno di loro, Anthony Kennedy, è un moderato che, in alcune circostanze, vota con i giudici progressisti, specie su libertà fondamentali e in particolare i diritti delle persone omosessuali. È stato proprio Kennedy a firmare la famosa sentenza Lawrence v. Texas, nel 2003, che cancellò le ultime sodomy laws – leggi che sanzionavano penalmente i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso – ancora in vigore in quattordici Stati. E probabilmente sarà ancora Kennedy a dire l’ultima parola sull’esistenza di un diritto al matrimonio, costituzionalmente fondato, per le coppie dello stesso sesso.