Quinto gruppo del parlamento uscente, la Gue-Ngl, Sinistra unitaria europea-Sinistra verde nordica, occupa uno spicchio dell’emiciclo di Strasburgo che corrisponde al 6,94% dei seggi. L’obiettivo del voto di oggi, ça va sans dire, è provare ad allargarlo. Nella legislatura che si è chiusa, la delegazione nazionale più numerosa era quella spagnola: ben 10 membri su 52, grazie al risultato di Izquierda unida (10%) e alla sorpresa di Podemos (8%), separati nel 2014 e ora insieme sotto l’insegna di Unidas Podemos, che alle politiche del mese scorso valse il 13,4%. Gli iberici perderanno quindi presumibilmente un paio di rappresentanti, con il probabile effetto di condividere la palma di prima delegazione con i tedeschi della Linke.

Sondaggi alla mano, il partito della capogruppo uscente Gabi Zimmer (che non si ricandida) dovrebbe eleggere nuovamente 8 deputati, ammesso che resti senza effetti la concorrenza a sinistra della lista di Yannis Varoufakis Demokratie in Europa: l’ex ministro greco si presenta personalmente come capolista proprio in Germania, uno dei pochi paesi in cui non c’è sbarramento, sperando di conquistare una tribuna a Strasburgo che dia visibilità al suo movimento paneuropeo. Incerta, ad oggi, la sua eventuale collocazione: forse la Gue, ma anche il gruppo verde o quello socialista, al quale guardano i suoi compagni di avventura francesi della lista Génération.s guidata dall’ex candidato presidenziale del Ps Benoît Hamon.

E proprio il paese transalpino dovrebbe essere il terzo principale “fornitore” di deputati per le forze della Gue, grazie alla France Insoumise di Jean-Luc Mélénchon e della 30enne Manon Aubry, data al 9,5%, meglio della performance di cinque anni fa del Front de gauche: significherebbe tre seggi in più, cioè da 4 a 7. La truppa francese potrebbe essere ancor più numerosa se il Pcf riuscirà a superare lo sbarramento del 5%, impresa che alla vigilia appare difficilissima. Complice il divorzio da Mélénchon, i comunisti francesi rischiano di restare per la prima volta nella loro storia fuori dall’europarlamento, nonostante l’impegno del loro capolista Ian Brossat, 38enne professore di liceo, gay dichiarato, discendente di ebrei polacchi scampati allo sterminio. Divisa in due anche la sinistra portoghese, ma senza rischi per il quorum: l’ortodosso Pcp attestato intorno al 7% e il più aperto e innovativo Bloco de Esquerda, guidato dalla sociologa (e possibile nuova capogruppo) Marisa Matias, che veleggia sul 10%. Il paese invia a Strasburgo in tutto 21 rappresentanti: 4 di loro (due per ciascuna forza) dovrebbero sedersi nei banchi della Gue.

Identico numero hanno i seggi assegnati a Grecia e Repubblica ceca, dei quali alla sinistra ne andrebbero, rispettivamente, 5 (con la Syriza di Alexis Tsipras) e 2 (con il Partito comunista di Boemia e Moravia). Atene è l’unica capitale in cui governa un partito che sta nella Gue, ed è anche l’unica in cui c’è un’opposizione comunista a un esecutivo di sinistra: quella degli euroscettici del Kke, i cui due eurodeputati siedono – e verosimilmente continueranno a sedere – nel gruppo misto.

Il rango di forza di governo lo ha anche Akel, il partito progressista dei lavoratori di Cipro, che è entrato a buon diritto negli annali: il suo Dimitris Christofias (presidente dal 2008 al 2013) è stato il primo comunista a capo di un paese della Ue. Anche stavolta potrebbe fare la storia, inviando all’eurocamera il primo turco-cipriota, il docente Niyazi Kizilyurek, come segnale di pace fra le due comunità linguistiche, contro il nazionalismo anti-turco.

L’isola del Mediterraneo, che patisce dal 1974 l’occupazione di quasi metà del suo territorio da parte dell’esercito di Ankara, è l’unico stato fra quelli più piccoli dei Ventotto in cui la sinistra riesce nella missione impossibile di ottenere rappresentanti. Purtroppo gli eletti sono zero anche in paesi decisamente più popolosi come la Romania, in cui nulla c’è a sinistra degli impresentabili socialisti della premier Viorica Dâncilâ, e la Polonia, dove la giovane e dinamica lista Lewica Razem, Sinistra insieme, pare destinata a restare sotto lo sbarramento del 5%.

Oltre la vecchia cortina di ferro la sinistra tocca palla solo in Slovenia, grazie alla Levica (Sinistra) di Violeta Tomic, quasi il 10% alle politiche dello scorso anno. Come giusto riconoscimento, proprio la 56enne Tomic, «jugoslava» di Sarajevo e attrice di professione, è una dei due «candidati di punta» a livello continentale designati dal Partito della sinistra europea: se il Gue fosse il gruppo maggioritario toccherebbe a lei – o al sindacalista belga «figlio di immigrati irregolari spagnoli» Nico Cué – succedere a Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione. Eventualità auspicabile, ma, purtroppo, impossibile.