Riunioni a ripetizione, ieri una al mattino e un’altra al pomeriggio, per arrivare all’approvazione del decreto» semplificazioni» nel consiglio dei ministri. Ma l’accordo fino a ieri sera non c’era ancora. Si ricomincerà dalle nove e mezza di stamattina a palazzo Chigi dove si terrà un nuovo vertice dei capodelegazione della maggioranza Pd-Cinque Stelle-Italia Viva-LeU. Conte è intenzionato a proseguire fino al preconsiglio dei ministri, arrivando all’intesa prima del consiglio dei ministri vero e proprio che dovrebbe varare il testo presentato, ancora una volta, dallo stesso premier ieri in un question time alla Camera, come la «madre di tutte le riforme». Per il renziano Davide Faraone l’approvazione potrebbe arrivare tra «giovedì e venerdì». Per il capogruppo Pd Andrea Marcucci il testo andrà in aula «tra fine luglio e inizio agosto».

Il premier ha dovuto incassare il ritiro del condono inserito in una bozza all’articolo 10 e denunciato dai Verdi. Una norma, era questa la voce che girava ieri nella maggioranza, che sarebbe stata inserita da un ministro del partito democratico per una regione meridionale. Il rigetto generalizzato da parte della maggioranza ha convinto Conte a fare marcia indietro. L’avere fatto trapelare il testo forse è servito a respingere l’operazione. Ma non si può nascondere che sia servito anche a rafforzare il sospetto che anche in questo governo ci siano «manine» libere di inserire norme ammazzasuolo, all’insaputa anche del ministro dell’ambiente Sergio Costa. Operazione voluta, o incidente di percorso, la «manina» ha rimestato nella confusione di un esecutivo che vede in questo decreto un modo per dimostrare un’efficienza in un momento politicamente opaco, più che velocizzare appalti. Intento declamato nello «Sblocca cantieri». Approvato proprio un anno fa.

«Quella legge – hanno sostenuto i segretari confederali di Cgil, Cisl, Uil, Giuseppe Massafra, Andrea Cuccello, Tiziana Bocchi – ha di fatto avuto l’effetto opposto rispetto ai principi enunciati, rendendo ancora più incerto il quadro legislativo. Bisogna abrogare lo Sblocca cantieri e la filosofia che lo accompagna». Conte, e il governo, non ci pensano proprio. E, a quell’ aggregato di norme approvato dall’esecutivo precedente che aveva la forma legastellata, intendono aggiungere quelle che stanno elaborando nelle ultime ore. Una volta approvato, si tratterà di capire fino a che livello arriverà il caos prodotto da un decreto che vuole invece abrogare la «burocrazia», sconfiggere la «paura della firma» dei dipendenti pubblici». Su questo punto ci sono divergenze tra Conte e la maggioranza. Il premier ritiene di volere sospendere temporaneamente la responsabilità dei funzionari sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti solo per «il dolo nelle azioni e non anche per le omissioni». C’è chi invece crede che questa norma non serva a nulla ed è necessario adottare leggi ad hoc. Tra i punti ancora in sospeso ci sono alcuni dei pilastri del testo di 48 articoli: il tetto per la trattativa privata fino a 5 milioni di euro di appalti. C’è chi nella maggioranza sostiene che vada abbassato a un milione. E poi c’è lo scontro sulle grandi opere. Italia Viva e una parte dei Cinque Stelle sono per il «modello Genova»: sospensione del codice degli appalti, commissariamento di tutto il commissariabile. Di tutt’altro avviso sono il Pd e LeU secondo i quali il codice degli appalti già semplifica a sufficienza.

Ieri sera circolava una nuova ipotesi sulle «Grandi opere»: definire una lista di quelle fattibili, approvarla con un «Dpcm» di Conte che, così facendo, userebbe un potere di emergenza per stabilire priorità discrezionali. Questo significa che il codice degli appalti potrebbe essere sospeso per volere di palazzo Chigi. Si discute anche sulla condivisione delle banche dati contese tra la ministra Pa Dadone e per l’InnovazionePisano.