William Schaffner è professore di medicina preventiva presso il Dipartimento di Politica sanitaria degli Usa e professore presso la Divisione per le malattie infettive alla scuola di medicina dell’Università di Vanderbilt, tutti organi coinvolti nella lotta al Covid-19.

Oltre a ciò è direttore medico della Fondazione nazionale per le Malattie Infettive e ha collaborato con i centri per la verifica delle malattie e la prevenzione, Cdc.

Negli Stati uniti il suo volto e il suo nome sono conosciuti in quanto il New York Times e la Cnn si avvalgono spesso delle sue opinioni; a causa della pandemia, come è accaduto ad altri esperti suoi colleghi, Schaffner è diventato un volto pubblico.

«Di natura sono un ottimista – dice – ma in questo periodo storico tengo a bada questa parte del mio carattere».

Cosa vede nel futuro dell’umanità?

Il futuro riguardo il Covid-19 è paragonabile a quello di una lunga maratona. Che nessuno si aspetti che questo virus sparisca con l’estate. Probabilmente si appiattirà la curva e l’infezione si ridurrà, così come capita con l’influenza, ma non avverrà drasticamente come accade con l’influenza. Con l’arrivo dei primi freddi e del l’autunno, poi, temo che ci ritroveremo a combattere su due fronti: l’influenza e il Covid-19. Come si suol dire, ormai, non sarà uno sprint.

William Schaffner

 

In molti Stati si parla sempre più di riapertura e di fine delle misure restrittive; quali sono per lei le migliori misure di contenimento per una eventuale riapertura?

Ci sono molte difficoltà in questo processo. Per ragioni economiche, sociali, culturali, non possiamo restare chiusi troppo a lungo. Penso che riaprire sia un cammino da equilibrista su una corda sottile, cercando di non cadere. Non ci si può sbilanciare troppo né da una parte né dall’altra perché in gioco ci sono società intere e vite umane. E non si può andare troppo fretta. Bisognerà andare per fasi, ogni volta affrontando una nuova fase di riapertura in modo estremamente cauto e dando a questa fase il tempo di assestarsi. Alcuni Stati stanno andando troppo velocemente, e una volta che riapriranno le attività economiche rivedremo concentrazioni di persone, sia grandi che piccole; sono esattamente le circostanze in cui si trasmette il virus. Gli Stati rurali dove ora l’emergenza è minore, vorranno andare più velocemente rispetto a quelli urbani e dovremo osservarli con molta attenzione. Non esiste al momento la possibilità di essere completamente al sicuro, ma bisogna cercare la strada per essere almeno un po’ protetti mentre riapriamo le nostre società.

Ma in attesa di un vaccino possiamo sperare almeno nelle terapie?

È un sogno che condivido. Sì, ci saranno più terapie valide in modo documentato, sono già in corso molti studi, riguardo diversi farmaci ed è possibile che avremo delle risposte su come e in che misura queste terapie funzionino contro il virus. Dobbiamo aspettare. Credo che in due mesi avremo alcuni risultati che ci aiuteranno a trattare i pazienti; sarà un grande aiuto. Per un vaccino invece ci vorrà più tempo. I nostri colleghi britannici dicono settembre/ottobre, auguro loro ogni bene ma non sono ottimista fino a questo punto. Anzi sono molto scettico.

Pare che politica e mondo scientifico siano inconciliabili al momento. C’è modo di superare questo impasse?

Vorrei che la leadership politica lavorasse meglio col mondo scientifico. Sin dall’inizio negli Usa la comunicazione sul Covid-19 non è stata chiara, o continuativa. Io consiglio sempre di ascoltare gli scienziati, gli esperti di salute pubblica, in quanto non hanno un retropensiero politico e cercano solo di fare del loro meglio in questa situazione così difficile.

A questo stadio della lotta al Covid-19 qual è il maggior problema negli Usa?

Abbiamo più di un problema, ma se ne devo menzionare solo uno è che ancora non stiamo facendo abbastanza test. Dovremmo farne molti di più, collegarli al numero di positivi e tracciarne i contatti. I test ci direbbero chi è malato e dove il virus è più diffuso. Ci aiuterebbe molto. Nello Stato dove vivo, il Tennessee, solo di recente si sono aperti dei punti per i test.

I test sono diventati più una questione politica che scientifica.

La questione dei test non è stata ben gestita a livello nazionale e la disponibilità di una grande quantità di test è stata promessa molto più di quanto sia stata mantenuta. Quando queste cose accadono la popolazione prima resta delusa, poi perde fiducia nel governo perché non può fidarsi né credere in ciò che sente. Questo è molto negativo: durante una crisi sanitaria è indispensabile poter credere nella leadership. Qui abbiamo due voci: quelle politiche e quelel della salute pubblica. Io continuo a ripetere di ascoltare le seconde.