Il Comune di Trento recentemente ha dato il via libera all’inserimento nel piano regolatore della possibilità di costruire un bacino artificiale per la raccolta e lo stoccaggio di acqua alle Viote, sul monte Bondone, ai fini dell’innevamento artificiale.

La soluzione sarebbe analoga a molte altre presenti sul territorio provinciale – gli invasi attivi sono 26 e altri 5 sono in fase di progetto o completamento – ma in questo caso la discussione è particolarmente sentita. Innanzitutto gli ipotetici siti individuati insistono su una quota piuttosto bassa. La stazione sciistica del Bondone si sviluppa tra i 1200 e i 2mila metri di altitudine e le problematiche legate all’innevamento sono evidenti tanto agli ambientalisti quanto agli impiantisti. Lo stesso presidente di Trento Funivie, Fulvio Rigotti, ha presentato un dossier nel quale evidenzia le criticità. Negli ultimi sei anni, solo nel 2018 la ski area avrebbe aperto prima di Capodanno senza innevamento artificiale e nella stagione precedente sarebbe rimasta chiusa del tutto. Se per gli imprenditori la carenza di neve è il motore che spinge all’azione, per i detrattori dell’opera è ragione sufficiente a non intervenire del tutto: «Con i cambiamenti climatici in atto questa proposta è obsoleta già sul nascere – sottolinea il consigliere comunale dei Verdi Marco Ianes – bisogna proporre un modello turistico alternativo». Il secondo motivo che ha scatenato l’opposizione degli ambientalisti, ma anche degli usi civici, è la prossimità di un’area che presenta una grande ricchezza di biodiversità: «La realizzazione del bacino sarebbe inopportuna per il delicato equilibrio della zona delle Viote», ha scritto in una nota il presidente dell’Asuc Alberto Baldessari.

Infine la natura carsica e la scarsità idrica del monte Bondone impediscono la raccolta dell’acqua sul posto, imponendo il pompaggio dal rio Vela, che scorre a valle: «Il torrente è però già interessato da un pesante sfruttamento idrico e portare l’acqua in quota implicherebbe infrastrutture importanti» ricorda Ianes. Gli impianti di Trento Funivie attualmente sfruttano un bacino di 66mila metri cubi, sito a malga Mezavia, e il nuovo impianto porterebbe la capacità complessiva a circa 200mila.

Il caso è dibattuto anche perché i favorevoli all’invaso hanno sottolineato il presunto pregio paesaggistico del nuovo bacino idrico. Non è la prima volta che le società di impianti promuovono l’aspetto iconico delle loro opere. Il tema energetico/economico è però sicuramente al primo posto in agenda. Con i 5 nuovi invasi in dirittura d’arrivo (Molveno, Pampeago, Panarotta, Folgarida e Canazei) la capacità complessiva in provincia passerà dagli attuali 900mila a 1 milione e 300mila metri cubi. Gli invasi crescono di numero e per dimensioni, richiedono interventi di sbancamento non trascurabili e sono realizzati anche in zone sottoposte a tutela ambientale.

Solo nel comprensorio sciistico di Funivie Campiglio sono stati recentemente inseriti due nuovi bacini. Un invaso è stato appena inaugurato al Doss del Sabion per 93mila metri cubi, quello di Montagnoli (200mila metri cubi) invece è attivo dal 2014 ed è costato 22 milioni di euro. La Provincia ha partecipato all’investimento nella percentuale del 7,5%, ma la quota pubblica può variare fino a una percentuale del 50% se l’azienda è di piccole dimensioni e l’opera categorizzata come di interesse locale e non di mercato. In diversa misura non solo il bene pubblico dell’acqua, ma anche i soldi dei contribuenti vengono comunque utilizzati a vantaggio di aziende private e se il bilancio economico deve tenere conto anche dei benefici sulla comunità, i costi ambientali non sono tollerabili per alcune sigle ambientaliste e politiche: «I prelievi idrici vanno a modificare la naturale vita di un corso d’acqua, della sua fauna e flora – contesta la consigliera provinciale Lucia Coppola – La cementificazione, le infrastrutture di pompaggio necessarie e le deviazioni imposte ai torrenti sono un danno in termini di sostenibilità e di rischio idrogeologico».

All’ombra delle Dolomiti però niente al momento può valere l’indotto dello sci: né la mtb, tanto meno il trekking o le fattorie didattiche. Allo stesso tempo l’orizzonte temporale considerato da alcune iniziative sembra piuttosto limitato. Il bacino delle Viote costerebbe 5 milioni di euro, la sua mancata realizzazione porterebbe secondo gli imprenditori alla chiusura degli impianti in una decina d’anni. Su un orizzonte temporale doppio probabilmente non si potrà comunque quasi più avere lo zero termico in quell’area. Insieme a impianti non utilizzabili rimarrebbe anche un lago inutile, decisamente costoso da riempire solo a fini paesaggistici e altrettanto costoso da smantellare.