Subiscono reiterati ritardi nei pagamenti e cambi unilaterali e retroattivi nei contratti di fornitura di merci deperibili; sono spesso obbligati a ritirare merci invendute e a farsi carico dei costi; sono costretti a riprendersi la merce andata a male non per loro colpa; gli viene chiesto denaro per l’esposizione o l’inserimento in listino dei loro prodotti, per costi di promozione e commercializzazione mai concordati; subiscono sanzioni contrattuali sproporzionate e cessazioni dei contratti di fornitura senza preavviso o con preavviso troppo breve; viene loro imposto l’acquisto o la fornitura di servizi non richiesti (es: confezioni, spedizionieri); devono accettare accordi non scritti, aste cieche al doppio ribasso, e subire il potere sproporzionato dei gruppi internazionali di acquisto dei supermercati (vedi articolo a fianco).

È impressionante l’elenco delle pratiche commerciali sleali lamentate da vari attori della catena alimentare, in particolare piccoli e medi imprenditori agricoli, trasformatori, ma anche grandi aziende, nei confronti della Grande distribuzione organizzata. Pratiche documentate in varie relazioni di commissioni parlamentari, del Centro di ricerca congiunto delle istituzioni comunitarie, di Università e associazioni di categoria.

Il dossier è sui tavoli delle istituzioni europee dal 2009. I disequilibri tra i vari attori della filiera alimentare sono tutti lì a documentare quanto il mercato del cibo in Europa sia oggetto di una lotta impari tra alcuni giganti della grande distribuzione e una moltitudine di fornitori, grandi e piccoli, che non hanno il coraggio di denunciarli per paura di compromettere un rapporto commerciale che il più delle volte è l’unico che li tiene in vita. Anche il «fattore paura» è ampiamente documentato. Ma la PAC , la politica agricola comune, non doveva assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola europea (articolo 39 del Trattato sul funzionamento dell’UE)?

In questo ultimo scorcio di legislatura, tra Bruxelles e Strasburgo si sta lavorando a una direttiva per contrastare alcune di tali pratiche: una proposta presentata in aprile 2018 dalla Commissione Junker, su richiesta del Parlamento europeo del 2016, è ora oggetto di un non facile trilogo (Parlamento-Commissione-Consiglio) per la definizione di un testo definitivo che dovrà essere poi rivotato a Strasburgo. Una corsa contro il tempo da concludersi entro Natale, diversamente starà al nuovo Europarlamento voler ricominciare da capo tutto l’iter legislativo.

Una corsa non facile perché se il testo inizialmente proposto dalla Commissione proponeva un elenco minimo di 8 pratiche sleali da proibire soltanto se esercitate nei confronti delle piccole e medie imprese (PMI, quelle che hanno non più di 250 dipendenti e un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro), prima la commissione AGRI e poi il Parlamento europeo hanno inserito nella direttiva un elenco molto dettagliato di pratiche da mettere al bando, circa 40, e – questo è il nodo – hanno esteso la normativa a tutte le imprese alimentari, dai piccoli agricoltori alle multinazionali, anche extra-UE. Grandi e piccoli sullo stesso piano.

Relatore al Parlamento europeo sulla direttiva è l’italiano Paolo De Castro (S&D), soddisfatto e moderatamente ottimista sull’esito dell’iter: «Il Parlamento è intervenuto con modifiche importanti sulla già ottima proposta della Commissione allargando oltre le PMI – dice De Castro – perché sappiamo bene che pratiche sleali, esercitate anche sui colossi dell’agroalimentare, finiscono per avere effetti sui piccoli, pensiamo a Lactalis e al prezzo del latte. Questa è un’arma importante per difendersi dalla Grande distribuzione organizzata che ha un potere commerciale enorme in tutta Europa. È di questi giorni il nuovo accordo commerciale tra Carrefour e Tesco: come si può trattare con simili piattaforme? Certo, durante il trilogo dovremo mediare, ma anche il commissario all’agricoltura Phil Hogan sostiene la proposta e ci sono molti punti d’intesa con la presidenza austriaca». De Castro parla anche dei tentativi della Gdo di bocciare la proposta del Parlamento con varie azioni di lobbying sostenute in particolare dai paesi del Nord Europa, Germania e Gran Bretagna, quest’ultima anche perché invischiata nella Brexit.

In Coldiretti, che è la più grande organizzazione agricola italiana ed europea, si augurano che la direttiva vada a buon fine. «Siamo soddisfatti della proposta di De Castro: purtroppo queste pratiche di commercio sleale crescono a dismisura – conferma il neo presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – per comprimere al massimo i prezzi, ma penalizzano il reddito delle imprese agricole di qualità come le nostre imprese italiane. Nel Nord Europa si coltivano solo prodotti generici, badando quasi solo ai volumi, è chiarissimo perché lì sono contrari». Nella lista dei soddisfatti c’è anche la AIM, l’associazione che raggruppa grandi marchi (alimentari e non), da Barilla a Danone, da Ferrero a Nestlé, che in un comunicato parla addirittura di storico voto del Parlamento europeo.

Il fatto che Strasburgo voglia mettere sullo stesso piano grandi e piccoli produttori e trasformatori di cibo invece allarma la Beuc, l’associazione europea dei consumatori, Ong che raggruppa 43 organizzazioni pro-consumatori in 32 paesi Europei (anche extra-UE). In un comunicato invita i negoziatori a ritornare all’obiettivo originario della direttiva, ovvero la protezione dei piccoli agricoltori e produttori perché includere anche la grande industria potrebbe avere come conseguenza soltanto un aumento dei prezzi per il consumatore finale. Secondo Beuc, eventuali maggiori margini per la grande industria non si traducono necessariamente in migliori condizioni per chi la rifornisce di materie prime. Il rischio di applicare a grandi industrie norme concepite per le piccole esiste, secondo uno studio dell’Università olandese di Wageningen, un’autorità nelle dinamiche del comparto agroalimentare.

Se andrà in porto, la direttiva sulle pratiche di commercio sleale prevede l’istituzione in ogni stato membro di un’autorità di contrasto delle pratiche sleali alle quali si potranno rivolgere in modo anonimo sia le aziende che le ONG per denunciare soprusi; inoltre, una rete di coordinamento tra le autorità di contrasto negli stati membri consentirà lo scambio delle migliori pratiche.

Nulla vieta a ciascuno stato di adottare norme che vadano oltre il livello minimo di protezione disposto dalla direttiva.