Carmela è nera e bellissima. Se ne invaghisce il protagonista del primo romanzo di Paolo Pietrangeli, La pistola di Garibaldi. Il problema di Giorgio Tremagi (Biblion Edizioni, pp.174, euro 16) e non è l’unico. Solo quando la ritrova uccisa da una rivoltella d’epoca, con in mano un fallo di legno in mano, Tremagi scopre che la bella etiope era un maschio. Incaricato delle indagini è un ruvido e virile poliziotto. Anche in questo caso Tremagi scoprirà con notevole sorpresa che al commissario piacciono gli uomini e si sorprenderà ancora di più trovandosi disposto a corrispondere.

NIENTE È COME SEMBRA in questo giallo di Paolo Pietrangeli che sembra a tratti voler irridire la mania contemporanea per il noir, che ha popolato le librerie di tanti commissari quanti sono i campanili italiani, e non sono pochi. Il protagonista si procura di che vivere con un ristorante, ma in realtà è un libraio che, di fronte alla mala parata, ha trovato riparo nell’espediente di un ristorante con annessa libreria (dalla quale sono però banditi proprio i gialli). La moglie, che fin dalla prima riga rinvia alla signora Maigret, si chiama Miele ma come carattere non ha nulla di mellifluo e ancor meno ha da spartire con la pacifica e mai arcigna consorte del più famoso tra tutti i commissari. Se un indizio rinvia a Marlowe bisognerebbe esitare più di quanto non facciano in prima battuta i personaggi del libro per concludere che si alluda al private-eye per eccellenza, massimo modello del noir da ottant’anni a questa parte.

Ma La pistola di Garibaldi non è nemmeno un semplice divertissement post-moderno, un gioco a rovesciare i canoni del giallo e del noir. Quell’aspetto è certamente presente e bastano le citazioni, esplicite o nascoste, che rinviano ai capisaldi del genere per confermarlo. Lo stile è leggero, rinvia al mestiere di sceneggiatore e regista dell’autore e in effetti questa libreria travestita da ristorante, con i suoi bizzarri frequentatori e gli ancor più improbabili gestori, sembra fatta apposta per una serie tv.
Però dietro la commedia Pietrangeli cela ambizioni molto meno giocose ed è impossibile non pensare al padre Antonio, maestro indiscusso del cinema italiano, che riusciva a narrare con inesorabile durezza la realtà dell’Italia degli anni ’50 e ’60 dietro un velo ingannevole di apparente leggerezza. Paolo Pietrangeli non racconta un omicidio e neppure usa il paravento del giallo per divertire descrivendo una Roma a modo suo pittoresca. Illustra uno smarrimento emotivo collettivo, trasferisce sulla carta una cronaca del grande disordine prodotto dalla esplosione di un ordine svanito ma non ancora sostituito. Segnala anche che a essere colpiti da una trasformazione radicale che muta i connotati della città, modifica in profondità la sua composizione etnica e sociale, incide drasticamente sulle relazioni affettive, sono i maschi molto più delle donne.

NEL MONDO della Pistola di Garibaldi la ruota gira al rovescio: la «signora Maigret» tradisce il marito, che scopre così di dipenderne in tutto. E l’investigatore di turno è un dilettante assoluto che, per smascherare la trama del delitto, senza peraltro riuscirci, deve affidarsi alla sua capacità magica di «vedere» i sogni degli altri. Campeggia una tradizionale «coppia diabolica»: uccide senza che se ne capisca il movente. Forse solo per eliminare l’elemento perturbante rappresentato da un cambiamento troppo veloce e radicale nella definizione delle identità etniche e sessuali per non creare spaesamento. A modo suo, l’autore di Contessa racconta, fingendo di parlar d’altro, l’Italia di Matteo Salvini. E aiuta a capirla.