Due anni fa, all’inaugurazione dei suoi archivi all’Università Pompeu Fabra di Barcellona, Gianni Vattimo annunciò che stava finendo un suo nuovo libro, Essere e dintorni (La nave di Teseo, pp. 425, euro 22). Nonostante studenti da tutto il mondo (Canada, Cina, Messico) chiedessero di poter accedere al materiale raccolto da Vattimo, l’autore ha preferito aspettare la pubblicazione del volume prima di aprire gli archivi.

CONSULTANDO I DOCUMENTI su cui si basa il testo – fatto di note su politica, estetica e filosofi contemporanei come Martha Nussbaum, Jean-Luc Nancy e Peter Unger – emerge il fatto che attorno a questo testo Vattimo abbia lavorato a lungo sin dalla pubblicazione della sua opera precedente, Sulla realtà.

Vattimo ha cioè continuato a dialogare: la conversazione, come diceva il suo amico Richard Rorty, è d’altronde il cuore della filosofia. Ma che cosa significa filosofare nel XXI secolo?

PER RISPONDERE ALLA DOMANDA, Vattimo spiega che «non si va mai da nessuna parte», ma «ci si aggira nei dintorni». Venendo dal padre del «pensiero debole», questa affermazione non sembrerebbe troppo sorprendente, ma in realtà rammenta al lettore che la nostra relazione con l’Essere è «l’apertura entro cui stiamo, niente come una struttura sistematica con inizio, mezzo, fine».

Il problema di questa struttura non è data dalla sua incapacità di relazionarsi con l’Essere ma soprattutto la comprensione di quanto questa relazione sia diventata vitale oggi che siamo «strutturati» (Gestell è il termine usato da Heidegger per descrivere la tecnologia moderna) nell’organizzazione tecnica del mondo. Questa organizzazione, che ora, grazie agli algoritmi, influenza non solo i nostri acquisti e il nostro voto, ha dato vita a una condizione dove, per parafrasare l’ultimo Heidegger, «la vera emergenza nella nostra situazione è la mancanza di emergenza».

FARE FILOSOFIA in queste condizioni significa volgersi all’ermeneutica. Ma l’obiettivo dell’interpretazione filosofica non è più, come aveva sostenuto Hans-Georg Gadamer, una fusione degli orizzonti in vista del dialogo, ma un impegno politico ed esistenziale «per la sopravvivenza della specie umana sulla terra». Per questo, secondo Vattimo, l’ermeneutica deve diventare «militante», determinata cioè a rivelare la nostra relazione con l’Essere contro il meccanismo degli algoritmi diventato ormai indistinguibile dalle leggi del capitalismo globale. Non stupisce dunque che uno dei capitoli centrali del libro sia intitolato «Interpretare il mondo è transformare il mondo». In esso l’autore sostiene che l’undicesima tesi su Feuerbach di Marx è più vicina all’ermeneutica di ogni oggettivismo metafisico.

QUESTO SPIEGA inoltre il perché l’ermeneutica abbia cominciato a condividere l’impegno del movimento ecologista per la sopravvivenza della specie umana sulla terra: la continuazione della vita richiede che l’evento dell’Essere sia mantenuto aperto non solo contro i «filosofi realisti» ma anche contro i politici come Trump che ignorano la crisi ambientale.
Ci sono altri due argomenti cruciali in questo nuovo libro: il ruolo della religione in difesa dei più deboli e il problema di quanto la pubblicazione dei Diari neri, con le loro annotazioni antisemite, possano «liquidare» l’eredità di Heidegger.

Per Vattimo la presenza della religione nella sfera pubblica non è soltanto un’occasione per i deboli di essere ascoltati. L’invito di Papa Francesco a «hacer lio» (farsi sentire) non è quindi soltanto la richiesta di un dialogo pacifico ma «una specie di appello alla rivoluzione permanente».

GLI ULTIMI DUE CAPITOLI sono infine dedicati ai Diari di Heidegger, interpretati non solo come il «diario di una crisi» che assume caratteristiche razziste. Vattimo parte dall’attenzione esagerata verso i Diari e concorda con Habermas sull’assurdità di inserire l’antisemistismo di Heidegger nella storia dell’«Essere», ma cerca di salvare il filosofo attraverso il cristianesimo. Dopo tutto, non è sorprendente che Heidegger sia diventato nazista «quando ha smesso di leggere san Paolo e ha cominciato a idolatrare Hölderlin».