Il dopo-discorso di Renzi ci insegna una cosa: che giovanilismo, citazioni colte e belle immagini non impressionano affatto gli arcigni falchi europei. Le reazioni Ppe e la proposta di un supercommissario agli affari economici – potrebbe essere Kaitanen, falco finlandese – dicono che non sarà facile far uscire dal cassetto le promesse di maggiore flessibilità sbandierate come vittoria italiana. In specie perché non è pensabile che tutto accada senza che la Merkel, assunta da Renzi come garante dell’accordo sulla flessibilità, sia consapevole e consenziente.

A quali condizioni quei buoni propositi potranno realizzarsi? Renzi ci ha raccontato che l’Europa vuole riforme in cambio di flessibilità. Ma quali? Le riforme che interessano all’Europa non sono quelle in cui il governo fa il più forte investimento politico, come il senato non elettivo.

Un suggerimento. La Commissione europea, nel Rapporto anticorruzione del 3 febbraio 2014, chiede con forza all’Italia politiche di contrasto più efficaci. Secondo stime autorevoli, la corruzione costa al nostro paese 60 miliardi all’anno. Se adottassimo le politiche chieste dall’Europa, ridurremmo sostanzialmente i nostri problemi di finanza pubblica e di rientro dal debito. Lo sappiamo noi, e lo sanno i falchi europei. È forse peregrina l’ipotesi che a una richiesta di sostegno potremmo sentirci domani rispondere di ripulire prima casa nostra?

Nella strategia riformatrice del governo la lotta alla corruzione è invece un punto di debolezza, per molteplici motivi. Anzitutto, il contesto generale. In Francia, il governo stronca le polemiche su Sarkozy, al momento solo indagato per corruzione, affermando che davanti ai giudici è un cittadino come tutti gli altri. Mentre in Italia Berlusconi, condannato, è stato velocemente riclassificato come padre della patria e consacrato come perno irrinunciabile della strategia governativa di riforme epocali. Si può dubitare che il governo voglia o possa davvero condurre una lotta senza quartiere alla corruzione, se l’ultimo mantra della politica italiana è che il patto del Nazareno tiene.

Una giustizia efficiente è la chiave per una repressione efficace della corruzione. Proprio su insistenza di Berlusconi, anche la giustizia entra nel pacchetto riforme.

Il governo non presenta una proposta, ma adotta 12 linee-guida su cui apre una consultazione popolare. È già questo è singolare. Ma ancor più contano i dubbi sul contenuto. Alcuni punti sono mere ovvietà. Così è per la riduzione dei tempi, la digitalizzazione, la riqualificazione del personale. La domanda vera è dove, come e quando trovare i quattrini. Altri punti sono discutibili. Ad esempio, come conciliare il concetto di una corsia preferenziale per categorie – famiglie e imprese, secondo le linee-guida – con il principio della parità verso la giurisdizione, che la Corte costituzionale definisce un pilastro fondamentale dello stato di diritto? Non è il tempo della giustizia elemento essenziale di quella parità?

Preoccupa, poi, l’ambiguità sugli obiettivi ultimi del governo per alcuni punti nodali, come i reati finanziari, la prescrizione, le intercettazioni, la responsabilità, la carriera e l’associazionismo dei magistrati. E soprattutto preoccupa la mancanza di qualsiasi riferimento all’autonomia e indipendenza dei giudici e al rapporto tra politica e giustizia.

Quanto alla prevenzione, strumento primario della lotta alla corruzione, il d.l. 24 giugno 2014, n. 90 è debole. Nessuno rimpiange la soppressa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, di comprovata inefficienza e altissimo costo. Ma il problema non si risolve con la nuova Autorità, con a capo Cantone, né con poteri speciali. Nessuna autorità centrale potrà mai essere risolutiva nel prevenire la corruzione. Potrà al più intervenire ex post su un numero limitato di casi, laddove il problema sia emerso, e a danno già prodotto.

Invece, la chiave è prevenire giorno per giorno, nell’ordinario, stimolando l’adozione di best practices e di controlli interni ed esterni efficaci in ogni amministrazione pubblica, in ogni ufficio, in ogni stanza, e aprendo a piena conoscenza e visibilità atti, procedimenti, delibere. Da questo punto di vista il d.l. 90 nasce vecchio, un lifting su cessazione dal servizio, mobilità, permessi sindacali, società partecipate, contenimento della spesa e poco altro. Ma di idee per uscire dalla palude non c’è traccia.

Le riforme per contrastare la corruzione non sono in vista. Arriva invece una controriforma, con l’estensione ai senatori di seconda scelta del nuovo senato della autorizzazione ex art. 68 Cost. per arresti, perquisizioni e intercettazioni. L’effetto ultimo è scoraggiare il controllo giudiziario su pezzi di ceto politico che le cronache mostrano permeabili a fenomeni corruttivi, e che hanno poteri di gestione politico-amministrativa, o sono contigui ad essa. Per la stessa Commissione europea in tutti i paesi il livello locale è il più permeabile a fenomeni corruttivi. Basterebbe tornare al senato elettivo, altrimenti forse è il momento di limitare per tutti i parlamentari l’autorizzazione ex art 68 Cost. vigente al solo arresto, che modifica la composizione dell’assemblea e può incidere sugli equilibri politici. Può darsi che il potere logori chi non ce l’ha. Ma di sicuro corrompe chi ce l’ha.