Ramadi è caduta, la provincia di Anbar è quasi del tutto in mano allo Stato Islamico: di chi è la colpa? Per il segretario Usa alla Difesa, Ashton Carter, è dell’esercito di Baghdad, fuggito di fronte al nemico e poco interessato a combattere. L’autocritica è merce rara a Washington. E Baghdad ha preparato la contromossa: a Ramadi ha inviato le milizie sciite che la Casa Bianca aveva cacciato dalla prima linea.

La controffensiva ad Anbar è partita martedì: le Hashed al Shaabi, unità di mobilitazione popolari sciite (le stesse avevano ricoqnuistato Tikrit), prima sono state dispiegate in massa a Baghdad e ora vengono mandate ad Anbar. Ieri avevano già ripreso due aree a sud del capoluogo Ramadi, occupato 10 giorni fa dagli islamisti. Accanto alle milizie sciite ci sono le truppe governative: «Le forze di sicurezza irachene, appoggiate da Hashed al-Shaabi, hanno liberato le aree di al-Humeyra e al-Tash, dopo scontri nei quali sono stati uccisi 33 miliziani dell’Isis», ha fatto sapere il consigliere provinciale Arkan Khalaf Tarmouz. Ripreso anche il campus dell’Università di Anbar. Nelle stesse ore le forze sciite hanno lanciato un attacco contro l’Isis nella raffineria di Baiji, a Salah-a-din.

L’operazione è stata ribattezzata “Labbayk ya Hussein” (“Sono al tuo servizio, Hussein”), espressione sciita legata all’imam nipote di Maometto e figlio di Ali. Un chiaro riferimento religioso, che pare confermare i timori delle tribù sunnite che, dopo aver tentato l’esclusione degli sciite dalla battaglia per Anbar, ora gridano la loro preoccupazione. A storcere il naso è lo stesso leader religioso sciita Muqtada al-Sadr: «L’operazione potrebbe infiammare la situazione, un nome simile sarà sicuramente frainteso».

Ma le critiche non sono legate solo alle etichette appiccicate sulla controffensiva: a Baghdad c’è chi teme che l’operazione sia stata lanciata troppo presto. «Una battaglia tanto importante avrebbe dovuto essere preparata meglio», ha commentato il presidente del parlamento iracheno, il sunnita Salim al-Juburi. Dietro sta il timore sunnita di un’escalation dei settarismi: la presenza di combattenti sunniti in chiave anti-Isis è ancora limitata a causa della lentezza del governo nell’armare e addestrare i miliziani. Dall’altra parte, ci sono però poche alternative: il premier al-Abadi aveva accettato di non schierare gli sciiti a Ramadi, dietro diktat Usa, e la città è caduta.

E se gli Usa incolpano l’esercito iracheno, dovrebbero compiere il passo in più: perché l’esercito iracheno non è preparato? Perché Washington ha lavorato strenuamente negli anni dell’occupazione per mandare in frantumi le istituzioni legate al partito Baath di Saddam Hussein, imponendo dall’alto epurazioni non solo di figure di alto livello dell’esercito, ma anche delle truppe stesse.

Sul terreno le divisioni settarie riaccese dopo la caduta di Saddam hanno spinto molti sunniti e ex baathisti ad accogliere con favore il califfato, visto come piede di porco per scardinare le porte del potere centrale. Dietro sta la marginalizzazione politica e economica delle comunità sunnite, figlia del rovesciamento del rais e delle strategie Usa, volte a creare divisioni in vista della creazione di un Iraq federato e quindi più controllabile.

E l’Isis può proseguire la sua marcia. Alla controffensiva del governo, il califfo ha risposto con attacchi suicidi che hanno ucciso almeno 17 soldati nella zona ovest della provincia di Anbar, poco fuori la città di Fallujah.

Di nuovo scontri a Yarmouk

Il califfato non molla nemmeno a Damasco: martedì sono riesplosi gli scontri nel campo profughi palestinese di Yarmouk, in Siria. A combattere i jihadisti dell’Isis, che cercano di riprendere le posizioni perse un mese e mezzo fa all’interno del campo, sono i gruppi palestinesi. «C’è una battaglia a intermittenza tra le fazioni palestinesi e l’Isis e al-Nusra», ha fatto sapere Khaled Abdel Majid, capo del Fronte Palestinese di lotta popolare, vicino al presidente Assad.

Ad oggi i due gruppi islamisti – tra loro avversari – controllerebbero il 40% di Yarmouk, la zona sud vicina al distretto di al-Hajar al-Aswad. I gruppi palestinesi mantengono il controllo della parte nord.