Sarà vero che si tratta di eleggere solo dei rappresentanti per la sicuezza (Rls). Sarà anche vero che finora hanno votato solo un terzo dei lavoratori. Che mancano gli stabilimenti più grossi (Pomigliano, Melfi, Cassino, Atessa). Un fatto però è incontestabile: nessuno avrebbe mai pensato che dopo 5 anni di apartheid nelle fabbriche di Marchionne la Fiom fosse il primo sindacato.

I dati per ora sono impressionanti: su circa 20mila aventi diritto hanno votato in 14mila e la Fiom ha ottenuto il 34,6 per cento («nelle ultime elezioni per le Rsu avevamo il 31,6 per cento», sottolinea Michele De Palma). Al secondo posto c’è il Fismic di Di Maulo (quello che ha proposto il sindacato unico prima di Renzi) col 17,7 per cento; l’Associazione quadri al 16,3 per cento; Uilm al 15,1 per cento; Fim al 14,2 per cento; Ugl al 2 per cento.

E ieri poi è arrivato il risultato della Cnhi di Pregnana milanese (dove si costruiscono i motori per veicoli industriali): dei 280 aventi diritto al voto hanno votato in 183. Di questi 108 hanno votato per la Fiom, con una percentuale che supera il 60 per cento.

Ecco quindi che il sindacato «che quando fa sciopero a Pomigliano e a Melfi lo seguono in quattro», come sostenevano molti commentatori, può alzare la voce e far partire la sua controffensiva: «Se si applicasse l’Italicum anche in Fiat (Landini continua a chiamarla così, ndr) noi della Fiom saremmo il sindacato unico in molti stabilimenti e in pochi altri andremmo al ballottaggio con Fismic o Associazione quadri, non con Fim e Uilm, di cui abbiamo più voti rispetto alla loro somma».

E ancora: «Queste votazioni dimostrano che se si dà la possibilità alle persone di votare senza ricatti si ha un risultato che nessuno si sarebbe aspettato». E chiedere a buon diritto a Marchionne «di smetterla di escluderci dalle trattative, come continua a fare sul rinnovo del contratto aziendale», spiega il segretario generale della Fiom, «perché vuol dire escludere la maggioranza dei lavoratori e il sindacato maggioritario in molti stabilimenti». La richiesta riguarda soprattutto «una discussione sulla fusione (voluta e promessa da Marchionne con Gm o Opel, ndr) perché molti gruppi si rifiutano e quindi serve una discussione alla luce del sole».

In questa richiesta Landini non è solo. Nel week end scorso la riunione di Torino a cui hanno partecipato 70 sindacalisti da 10 paesi in cui Fca ha stabilimenti ha prodotto la stessa richiesta a Marchionne: «Un incontro urgente per discutere della volontà manifestata dal vertice aziendale di arrivare alla fusione con altre case automobilistiche». In più la denuncia «di violazione esplicita dei diritti sindacali emerso in particolare nelle realtà di Turchia, Messico e Brasile». Come dire: tutto il mondo è paese, per Marchionne, in fatto di libertà sindacali.

Anche la valenza «politica» di questo voto viene sottolineata: «In qualsiasi paese del mondo il governo convocherebbe l’azienda per discutere del rischio dell’addio definitivo all’Italia e farebbe notizia il fatto che Fiat è uscita da Confindustria, paga i suoi lavoratori in media 76 euro al mese in meno del contratto nazionale e li fa lavorare di più: altro che gli stipendi tedeschi promessi da Marchionne», ricorda Landini.

Il discorso poi si allarga alla questione nuovo contratto nazionale. E anche qui il segretario della Fiom cerca di rilanciare. Dopo la quasi rottura con Fim e Uilm sulla piattaforma unitaria, sulla richiesta Fiom di «prevedere la certificazione della rappresentanza e il voto certificato della maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti» sul contratto (Fim e Uilm chiedevano di limitare agli Rsu, agli iscritti o alle fabbriche dove tutti sono presenti), Landini chiede di «proseguire il confronto» proponendo «di defiscalizzare gli aumenti contrattuali nazionali, visto che gli accordi aziendali dal 1993 a oggi sono calati dal 35 al 20 per cento del totale, e di fissare un salario minimo orario che valga per tutti i lavoratori (erga omnes) e ore di formazione per tutti i lavoratori».

Arriva poi una quasi-svolta utilizzando il modello Lamborghini: «Siamo disponibili ad maggior utilizzo degli impianti lavorando le notti e i festivi per aumentare la produttività ma in cambio vogliamo una riduzione di orario e un aumento dell’occupazione».

Al «No» scontato di Fim e Uilm, Landini contrappone la convocazione di un Assemblea nazionale dei delegati Fiom per il 10 e 11 luglio. Il comitato centrale di ieri ha approvato le proposte con 103 voti favorevoli (anche i camussiani) e 11 voti contrari (ex Rete 28 aprile).