La nota di un gruppo di case editrici di lasciare l’Associazione italiana degli editori arriva mentre si susseguono le dichiarazioni di esponenti torinesi e nazionali del Movimento 5 stelle in solidarietà della sindaca Chiara Appendino, accusata dal Pd di non aver fatto nulla per contrastare la decisione di spostare il Salone del libro a Milano. Polemica politica neppure di grande livello. Sembra che tra Pd e pentastellati sia in atto un gioco di ruolo per stabilire chi guarda il dito invece della Luna. Ma il pezzo forte della giornata di ieri è quella nota di dieci editori che, senza mezzi termini, comunicano alla Aie di lasciare l’associazione perché in dissenso con la decisione presa mercoledì di lasciare la Fondazione del Salone del Libro e di costituire una società assieme all’ente fiera di Milano per organizzare una fiera del libro non solo nazionale, ma anche europea.

Le dieci case editrici – add editore, Edizioni E/O, Iperborea, LiberAria Editrice, Lindau, Minimun fax, Nottetempo, Nutrimenti, Sur, 66thand2nd – accusano il presidente della Aie – Federico Motta – di aver imposto una decisione senza una preliminare e ampia consultazione dei soci. Da qui un problema di deficit di collegialità a livello interno, ma anche il segnale che la rappresentatività dell’associazione è ai minimi termini, ricordando i silenziosi abbandoni di questi anni.

La nota dei «dissidenti» è pacata, invita al dialogo, ma è ferma nel chiedere il ripensamento sullo spostamento del Salone del libro. La casa editrice Lindau si contraddistingue per il suo attivismo. Nella mattinata di ieri, manda in rete l’accettazione di una proposta di mediazione di Giuseppe Laterza: un incontro nazionale a Bologna per discutere le iniziative da prendere per sostenere la lettura e un mercato in crisi di lettori (e di vendite). La romana e/o era già uscita dall’Aie ieri. In un suo comunicato ricostruisce l’iter che ha portato al voto, segnalando contraddizioni, punti oscuri per concludersi che lo spostamento a Milano è un colpo all’indipendenza degli editori, intendendo con questo che la scelta di Milano risponde più a criteri politico-economici che non editoriali. Nessuno scrive di concentrazioni editoriali, ma le dieci case editrici si sono contraddistinte nei mesi e anni passati per la denuncia di riduzione della «bibliodiversità» costituite proprio dalla concentrazione editoriale.

Federico Motta, che ha voluto fortemente lo spostamento, ha prima chiesto un ripensamento, di una pausa di riflessione, ma quando l’abbandono della Aie è stato ribadito ha lasciato da parte la diplomazia rivendicando la decisione come l’unica possibile.

Chi ha invece preso la parola per spiegare che quel voto era troppo affrettato e che il problema di come sciogliere il nodo del Salone del libro rimaneva ancora intatto è stato Ernesto Franco, direttore generale editoriale di Einaudi, che nella votazione di mercoledì si è astenuta. La casa editrice torinese non vede Torino e Milano come contrapposte, bensì come due possibili appuntamenti importanti per rilanciare il settore. Non nega, Ernesto Franco, che l’immagine del Salone del libro si sia appannata negli ultimi anni, ma ricorda come nel tempo l’annuale appuntamento torinese abbia portato linfa vitale in un settore in difficoltà. Di eguale tenore la presa di posizione di Feltrinelli, impegnata nell’appuntamento milanese di Bookcity e dunque preoccupata che l’insediamento di una Fiera del libro nell’area dell’Expo possa cancellare il lavoro e l’impegno anche economico per far crescere la rassegna milanese del libro già esistente.

Silenzioso è rimasto il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che si è battuto affinché il Salone del libro rimanesse a Torino alla luce anche di un rilancio e una maggiore trasparenza nella gestione della Fondazione. Gelida la dichiarazione del sindaco Giuseppe Sala: lavoreremo affinché l’iniziativa funzioni. Entusiasta, invece, il governatore lombardo Roberto Maroni, che considera tutto ciò una grande opportunità economica per Milano e la Lombardia. Il basso profilo di Sala è spiegabile con i rumors della Rete, secondo i quali la decisione della Aie è avvenuta dopo un via libera di Matteo Renzi. Ma sono voci non confermate. Ma neppure smentite. Sta di fatto che l’affaire del Salone del libro ha messo in evidenza tensioni, conflitti dentro l’industria editoriale. Da una parte la crisi e una politica industriale assente: un’assenza che ha favorito la concentrazione editoriale degli anni scorsi. Il rischio di una riduzione della bibliodiversità è già diventata realtà. Poco le risorse nella promozione della lettura. Quasi inesistente la politica di scouting delle case editrici grandi, che fanno campagna acquisti di nuovi autori solo dopo che le piccole e indipendenti case editrici li hanno trovati e promossi. Per il momento la decisione di spostare il Salone del libro a Mialno ha solo provocato una rottura dentro l’Aie.