Intraprendente, questo prefetto Tronca. Dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione, tenere accese le luci del Campidoglio, spolverare la statua di Marc’Aurelio, gestire insomma il consueto flusso burocratico cercando di non causare ulteriori danni alla città, e invece comanda, dispone, delibera, pianifica.
Ha presentato un programma di 740 pagine (settecentoquaranta), con cui si delinea il futuro di Roma: prima di lui, nessuno, nessun sindaco s’era avventurato in un’impresa tanto ambiziosa. Sostiene d’averlo definito sulla base degli ultimi indirizzi politici della giunta dimissionaria e dunque d’aver semplicemente agito in coerenza e continuità con i suoi defenestrati predecessori. I quali, evidentemente, intendevano aumentare tasse e tariffe, privatizzare gli asili nido, smembrare le aziende comunali, sfruttare il lavoro volontario, svendere il patrimonio pubblico, affidare al mercato i beni culturali: ci piacerebbe ricevere qualche smentita, che tuttavia nessuno, nel centrosinistra e dintorni, sembra ritene––––––a doverosa.

In effetti, appare difficile individuare differenze. Nel suo piglio prefettizio, il commissario Tronca appare forse più netto e sbrigativo, rispetto alle ambiguità e alle esitazioni del sindaco Marino. Ma l’impronta liberista, la spinta liquidatoria, gli intenti antipopolari sono del tutto analoghi. Nella scia delle politiche governative che stanno riducendo gli enti locali a meri organismi attuativi di decisioni tanto unilaterali quanto dannose. Basta inserire il pilota automatico e le cose vanno come devono andare: al punto da rendere superflua la soggettività politica del sindaco, la sua stessa funzione istituzionale, lo stesso processo democratico che lo elegge.

E a Roma, passando da un sindaco all’altro e infine ritrovandosi con un commissario, quest’avvilente pantomima politica è piuttosto evidente. La città è dunque condannata ad avere “la strada segnata” come una locomotiva? Oppure può “scartare di lato” come un bufalo? Eleggerà in primavera un sindaco rassegnato ad accucciarsi nella scia dei suoi predecessori, il commissario Tronca compreso? O si può tentare di imprimere quella necessaria discontinuità per avviare una prospettiva di rinascita?

La città è allo stremo, impoverita e spenta, ancora tramortita, incollerita: in quest’ultimo scorcio ne ha passate talmente tante, che sembra aver consumato ogni fiducia e perso ogni speranza.

Sta tuttavia affiorando un progetto politico nuovo e suggestivo, che potrebbe spezzare questa rassegnata inerzia, riaccendere passioni e ridare slancio. E’ in corso un tentativo di aggregazione a sinistra: sofferto, faticoso, ma promettente. Che prova a comporsi in vista delle elezioni comunali, ma che ambisce a proseguire il suo percorso unitario anche in seguito, accogliendo e includendo chi nel tempo si è disperso o rabbiosamente incupito. E’ promosso da quei segmenti della sinistra che s’erano divisi tra incomprensioni e risentimenti, e che chiama a partecipare e contribuire il vasto e generoso mondo dell’associazionismo e del conflitto.

Si presenta alla città con l’ambizione di governarla, in netta discontinuità con le amministrazioni del passato. In autonomia: fuori dal centrosinistra, abbandonando alleanze inaffidabili, deleterie, oltreché perniciose. Poteva forse nascere prima, già tre anni fa, quando non tutti colsero l’esaurimento di un ciclo politico, che ormai non corrispondeva più alle esigenze della città. Ma così non andò. I tempi non erano maturi. L’importante è che lo siano adesso.
E’ un progetto che ha tuttavia bisogno di sporcarsi con la crudezza della realtà, così come di suscitare positività e condivisione. Di passare dallo stato di asettico composto chimico a quello di succoso fluido sentimentale. Di scrollarsi di dosso quel velo di polveroso politicismo con cui è stato avviato, e che solo l’irruzione di movimenti sociali e soggettività culturali può definitivamente spazzar via.

Le coordinate politiche su cui si orienta sono chiare e condivisibili: le ha definite nella sua intervista al manifesto Stefano Fassina, che a questo progetto offre la sua candidatura. Svincolarsi dalla morsa del debito comunale per rimodellare la spesa pubblica verso i bisogni sociali e la manutenzione della città; interrompere la vendita del patrimonio comunale per riconvertirlo verso usi sociali, culturali, produttivi e occupazionali; impedire che dietro lo stadio della Roma si orchestri una gigantesca speculazione urbanistica; utilizzare la risorse riservate alla candidatura olimpica del 2024 per migliorare il trasporto pubblico; valorizzare la produzione immateriale: la cultura, l’arte, la scienza, l’ambiente, il paesaggio.

E’ di questo che ha bisogno Roma. Di questo, di molto altro ancora e anche di una sinistra nuova e finalmente combattiva.