Era l’agosto del 1913, e a Dublino iniziava la più grande serrata della storia d’Irlanda, una lotta strenua e coraggiosa da parte dei lavoratori, in grado di paralizzare le strade della capitale irlandese fino al febbraio 1914. Dublino era una città divisa tra una aristocrazia locale filobritannica, una giovane borghesia renitente a discostarsi dallo statu quo, e una ampia fascia di popolazione fatta di proletari sfruttati e di disoccupati che vivevano nei famosi tenements, palazzoni georgiani in cui si assiepavano famiglie numerose spesso stipate in una sola stanza fatiscente.
In queste condizioni operò il sindacalista Jim Larkin, a capo della Irish Transport and General Workers Union. Fu lui a indire la serrata del 1913 contro l’arcipadrone, William Martin Murphy, proprietario di giornali e grandi magazzini, il quale voleva imporre ai suoi impiegati di rinunciare all’appartenenza sindacale.

UNA DELLE FIGURE che più mostrarono appoggio e supporto ai lavoratori fu una donna che, tramite il matrimonio con un ricco artista polacco noto a Parigi come «Conte Markievicz» (nonostante i dubbi sulla validità del titolo nobiliare), era da tutti a Dublino conosciuta come la Contessa Markievicz.
Il 31 di agosto del 1913, quando le forze dell’ordine vietarono un comizio di Larkin, lei e il marito lo aiutarono a travestirsi per poi sbucare da una delle finestre dei grandi magazzini appartenenti all’arci-nemico e arringare la folla. Il raduno fu sciolto con la violenza, e Larkin dovette darsi alla macchia.
Esce in queste settimane, per la collana «I rinati» di Angelica editore, un libro, Lettere dal carcere. L’Irlanda verso la libertà (traduzione di Lucia Angelica Salaris, pp. 230, euro 15,00) che raccoglie le missive inviate dalla contessa da diverse istituzioni di detenzione, in Irlanda e in Inghilterra, negli anni successivi all’Insurrezione di Dublino del 1916.

QUESTO PREZIOSO VOLUME vede un’accurata introduzione di Loredana Salis e una postfazione di Cristina Nadotti che assieme ricompongono con perizia e passione la parabola di una grande donna impegnata contemporaneamente nella lotta di un proletariato a cui, sulla carta, non poteva appartenere, e a quella per l’emancipazione dal giogo coloniale di una terra, l’Irlanda, che è tuttora divisa e in parte occupata.
Constance Markievicz, nata Gore-Booth e figlia del famoso esploratore, era stata infatti anche una delle figure chiave della rivolta da cui prende le mosse l’Irlanda moderna, schierandosi nei ranghi dell’Irish Citizen Army di James Connolly, una formazione armata nata in difesa dei lavoratori e delle lavoratrici di Dublino, e che poi fu un asse portante della rivolta assieme agli Irish Volunteers di Patrick Pearse.

Le lettere coprono un periodo che va dall’insurrezione agli ultimi mesi di vita della rivoluzionaria, duramente segnati dalla morte della sorella minore, Eva Goore-Booth, pure lei suffragetta e socialista, e nota scrittrice per il teatro, grande passione anche di Constance. Tra questi due poli, i periodi di prigionia in Irlanda e in svariate carceri inglesi, quello dell’internamento subìto dopo la Guerra Civile (1921-23) e poi quelle vergate da un fortunato ma sofferto soggiorno statunitense nel 1922, alla ricerca di fondi per finanziare le attività dello Sinn Féin.

DONNA INDOMITA, alla fine della guerra d’indipendenza, eletta in parlamento si rifiutò di giurare fedeltà alla Regina come prevedeva lo status di Free State concesso agli irlandesi in seguito al Trattato di Pace del 1921. Alla fine della Guerra Civile seguita all’epocale spaccatura tra chi accettò e condizioni inglesi e chi, come la Markievicz, vi si oppose, fu internata e partecipò persino a uno sciopero della fame. Appartiene a questo periodo una lettera tra le più struggenti inviate alla cara sorella, in cui la Contessa: «ho incominciato lo sciopero della fame appena arrestata: alla stazione di polizia mi hanno offerto del tè e proprio allora ho preso la mia decisione. Ho continuato solo per tre giorni… Credo che me ne sarei andata molto presto… Una delle ragazze sta molto male: è quasi morta e ha interrotto lo sciopero giusto in tempo… Qui con me ci sono tre ragazzine molto simpatiche, e siamo una brigata molto allegra. Il luogo è ampio e tetro, infestato dai fantasmi di poveri dal volto infranto. Intorno svolazzano gabbiani e corvi. Oggi ho visto un corvo variopinto: era così bizzarro».
Questo il tenore di molte lettere, un equilibrio sottile tra disperazione e forza di volontà, la volontà di mantenere l’ottimismo in situazioni estreme.
Unico peccato, i tanti omissis imposti dal censore nelle lettere dalle carceri inglesi, che ci consentono solo di immaginare il fitto reticolo di relazioni tra le diverse classi che si unirono alla lotta per la liberazione dell’Irlanda, e di fili retti e orchestrati da una memorabile rivoluzionaria capace di anteporre al proprio bene personale, l’interesse della causa e di chi per questa fu pronto a morire.