A parte l’ira sguaiata di Matteo Salvini e le possibili conseguenze sulla partita Quirinale – i papabili Giuliano Amato e Sergio Mattarella si presume abbiano votato per l’incostituzionalità – la bocciatura del quesito referendario che di fatto abrogava la riforma delle pensioni Fornero un merito lo ha avuto. I sindacati e buona parte delle forze politiche tornano a chiedere con forza un sistema più flessibile e meno rigido, individuando nell’innalzamento repentino dell’età pensionabile una delle cause principali del mancato turn over lavorativo e dunque dell’insostenibile tasso di disoccupazione giovanile.

Il quesito su cui la Lega aveva raccolto molto più delle canoniche 500mila firme e che è stato uno degli strumenti populistici che ha rilanciato il movimento e la figura di Matteo Salvini, chiedeva l’abrogazione dell’articolo 24 del decreto salva-Italia che fece piangere Elsa Fornero mentre spiegava che cosa sarebbe successo agli anziani italiani: blocco della rivalutazione e innalzamento dell’età pensionabile di almeno cinque anni con sostanziale abolizione delle pensioni di anzianità. In più da quel giorno il sistema di calcolo dell’assegno è diventato contributivo, producendo un calo generalizzato con punte insostenibili per le giovani generazioni precarie.

La sentenza, che sarà depositata nei prossimi giorni, quasi certamente poggerà sulla constatazione che quella riforma faceva parte di una manovra economica ed è quindi assimilabile a norme tributarie – la riforma ha prodotto risparmi per 80 miliardi tutti andati ad abbattere il debito pubblico negli anni a venire – per cui la Costituzione vieta la possibilità di referendum abrogativo.

Appreso del verdetto della consulta, la stessa Fornero ha unito alla definizione di «decisione giusta per il paese» l’apertura a modifiche: «Il Parlamento se vuole esamini la riforma con pacatezza e lungimiranza». Dimenticandosi però di parlare della vergognosa vicenda degli esodati – le persone che con l’innalzamento dell’età sono rimaste senza lavoro, senza pensione e senza ammortizzatori sociali – che la stessa Fornero non è mai riuscita a risolvere e che si trascina a tre anni di distanza. Ancora oggi nessuno è in grado di dire quanti sono stati e sono gli esodati – una stima fu chiesta da Fornero all’Inps che certificò 400mila esodati potenziali, provocando l’ira del ministro che si rimangiò la richiesta – mentre i sei provvedimenti legislativi ad hoc lungo tre anni hanno «salvaguardato» 162mila persone.

Se il governo ha sempre sostenuto che il capitolo «pensioni» non era una priorità, i sindacati invece – nel loro ultimo atto unitario che emendò le sole tre ore di sciopero generale fatte all’epoca – a settembre avevano lanciato una piattaforma unitaria per modificare completamente la riforma. E ieri sono tornati alla carica.

«Il sindacato, tutto e unitariamente, deve mobilitarsi per portare il Parlamento a cambiare nel profondo la riforma della pensioni della Fornero che così tanti danni ha creato in questi anni – ha dichiarato il segretario generale dello Spi Cgil, Carla Cantone – serve una mobilitazione più forte perché si sta impedendo ad una intera generazione di andare in pensione chiudendo lo spazio per nuovi posti di lavoro, perché esistono ancora gli esodati e perché i giovani non hanno alcuna certezza sul loro futuro previdenziale».

«L’inammissibilità del quesito referendario non vanifica la necessità di rivedere le regole del sistema pensionistico», ha sostenuto il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, chiedendo al governo di aprire il confronto con le parti sociali sulla materia.
«Era prevedibile che la Consulta dichiarasse inammissibile il referendum sulla legge Fornero ma ora la battaglia diventa sindacale e politica, perché quel provvedimento va comunque cambiato», ha dichiarato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo aggiungendo che la Uil avvierà con Cgil e Cisl una discussione sulle «iniziative per ottenere le modifiche possibili e necessarie a questo provvedimento».

La proposta di legge che potrebbe mettere tutti d’accordo giace in parlamento da due anni. L’ha presentata l’ex ministro Cesare Damiano e propone di rendere flessibile l’età di pensionamento dai 62 anni con una penalizzazione del 2 per cento l’anno sull’assegno che si andrà a percepire. Da Monti in poi, nessun governo l’ha presa in considerazione. Chissà che il momento non sia finalmente arrivato.