A pochi giorni dalla condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo per il caso di un detenuto con patologia psichiatrica che avrebbe dovuto essere trasferito in una Rems ma non trovandovi posto era stato trattenuto in carcere, arriva una nuova sentenza, questa volta della Corte costituzionale, che funge da «monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema» delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, le strutture di cura che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari, luoghi esclusivamente di carattere custodiale.

Con la sentenza n°22 depositata ieri, i giudici della Consulta hanno dichiarato inammissibile le questioni di legittimità sollevate dal Gip del Tribunale di Tivoli sulla disciplina che norma le 32 Rems italiane, ma solo perché se lo avessero fatto ne sarebbe derivata, puntualizza la Corte, «l’integrale caducazione del sistema delle Rems, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi Opg, con la conseguenza di un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti». Il giudizio però è netto: l’applicazione concreta delle regole vigenti sulle Rems «presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali, che il legislatore deve eliminare al più presto». Eppure questa volta, a differenza di casi recenti come per l’ergastolo ostativo o per l’aiuto al suicidio, i giudici costituzionalisti non hanno dato un limite temporale al legislatore per agire. Il motivo sta nella complessità della materia, che coinvolge il carcere e i servizi di salute mentale, ma chiama anche in causa lo stesso titolo V della Costituzione.

Per capire meglio, ricostruiamo la vicenda: in seguito ad un caso molto simile a quello che è costato all’Italia la condanna di Strasburgo, il giudice di Tivoli, Aldo Morgigni, aveva sollevato dubbi di costituzionalità della legge istitutiva delle Rems nella parte in cui conferisce la competenza esclusiva su di esse alle sole Regioni e alle Asl, estromettendo completamente il Ministero di Giustizia. Se la magistratura non ha voce in capitolo sulle Rems, sosteneva in soldoni il giudice, ogni decisione riguardante i detenuti malati psichici può solo sottostare alle regole delle Regioni.

Con un’istruttoria che la Consulta aveva disposto il 24 giugno 2021 chiedendo al governo i dati esatti sugli internati, era emerso «che sono tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per l’assegnazione ad una Rems; che i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi, ma anche molto più lunghi in alcune Regioni; e che molte di queste persone – ritenute socialmente pericolose dal giudice – hanno commesso gravi reati, anche violenti». Perciò emerge «l’esigenza che sia una legge dello Stato a disciplinare la misura» di assegnazione alle Rems, mentre oggi essa «è rimessa ad atti normativi secondari e ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, che rendono fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione». Inoltre, l’attuale sistema non tutela «né i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni», né «il diritto alla salute del malato».

Infine, sottolinea la Consulta, «la totale estromissione del ministro della Giustizia da ogni competenza in materia di Rems non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione». Il ministero di Giustizia dunque, conclude la Corte, deve essere adeguatamente coinvolto; deve essere adeguata la base legislativa; ed è urgente la «realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di Rems sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio».

Proprio su questo ultimo punto insiste il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, che sottolinea: «Il sistema delle Rems esce dalla sentenza della Corte confermato nella sua positività. Deve però superare gli elementi di immaturità ancora evidenti nel ricorso frequente all’assegnazione e deve essere in grado di dare risposte omogenee e di effettiva presa in carico. Un sistema che deve comunque essere sempre percepito dalla collettività come un progresso culturale e sociale nell’affrontare il tema dei cosiddetti “folli rei” che ha chiuso l’oscuro capitolo degli Opg».

Per l’associazione Antigone, la sentenza indica la necessità di «aumentare il dialogo tra la magistratura e gli operatori sanitari». «Oggi è chiaro – evidenzia il presidente Patrizio Gonnella – che nessuno può pensare di risolvere la questione semplicemente aprendo più Rems. Uno dei passaggi più significativi scritti dalla Corte riguarda la grave mancanza di risorse che colpisce, in tutta Italia, i servizi di salute mentale, destinatari di meno del 3% dell’intero budget del Ssn. Una scelta che pone l’Italia agli ultimi posti nel panorama europeo. Senza investimenti, è difficile fare le riforme».