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La Consulta, «bene il carcere per chi imbratta»

La Consulta, «bene il carcere per chi imbratta»Il murale Cane matto del collettivo Wiola Viola

La Consulta ha confermato che carcere e multe a tre zeri sono costituzionalmente accettabili per il reato di imbrattamento. La sentenza, la numero 102/2018 ha considerato inammissibili le due ordinanze […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 23 maggio 2018

La Consulta ha confermato che carcere e multe a tre zeri sono costituzionalmente accettabili per il reato di imbrattamento.

La sentenza, la numero 102/2018 ha considerato inammissibili le due ordinanze di rinvio che sollevavano l’eccezione di costituzionalità dell’articolo 639. Era stato il giudice della Sesta sezione penale del foro di Milano, Alberto Carboni, durante un processo in cui stava difendendo un graffitaro a chiedere l’intervento della Corte Costituzionale poiché il reato di imbrattamento prevede pene più alte di quelle previste per il più grave reato di danneggiamento, che vede come sanzione economica. Questo perché con il Dlgs 7 del 2016 il reato di danneggiamento generico, senza aggravanti, è stato depenalizzato. Alberto Carboni si è ispirato all’articolo tre della costituzione che stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

E nell’ordinanza rivolta alla Consulta scriveva «è certamente irragionevole e arbitraria la decisione di sanzionare più severamente le condotte che cagionano un’offesa meno grave (deturpare e imbrattare) rispetto a quelle che pregiudicano il medesimo bene giuridico provocando un nocumento maggiormente significativo (distruggere, disperdere, deteriorare, rendere in tutto o in parte inservibile)».

Per la Consulta, però, il reato di imbrattamento altro non è che una delle aggravanti del reato di danneggiamento, quindi non ci sono elementi di incostituzionalità. «Per dirla in maniera semplice» ci dice l’avvocato Domenico Melillo «la Consulta ha ritenuto che la norma “punisci writer” legittimamente applichi la reclusione in quanto quella pena è stata elaborata e prevista per delle condotte di natura diverse dal danneggiamento e che sembrano oppurtamente previste in scelte di politiche criminali». Melillo, tra i massimi esperti del Foro milanese in materia, non si dice però sorpreso dalla scelta della Corte Costituzionale, perché «l’illegittimità della norma così com’era stata sollevata dal giudice rimettente aveva delle falle nel ragionamento».

Il tema politicamente è molto caldo tanto che il collettivo «Wiola Viola» di Milano già a gennaio aveva lanciato una petizione contro carcere e multe per chi colora sui muri, e aveva raccolto centinaia di firme tra i quali Moni Ovadia, Wu Ming, Caparezza, Ivan il Poeta, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Frode, Pao e i 5 membri de Lo Stato Sociale. L’azione del collettivo è nata perché proprio a Milano nel novembre del 2017 è arrivata la prima sentenza italiana di carcerazione per un writer, e già nel marzo dello stesso anno alcuni ragazzi spagnoli furono colpiti da daspo.

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