Una piccola miniera di sollecitazioni per un’analisi critica del presente, questa raccolta di scritti di Zygmunt Bauman pubblicata dalla casa editrice trentina Erickson. Il titolo – Le sorgenti del male, traduzione e cura di Riccardo Mazzeo, pp. 108, euro 10 – segnala che l’intellettuale polacco ritorna su un tema già affrontato in Modernità e Olocausto (Il Mulino), libro di svolta nella produzione di Bauman. In quel libro, il nazismo e l’organizzazione scientifica dello sterminio degli ebrei venivano messi in rapporto con quella tendenza della modernità a «governare», attraverso la burocrazia, la vita di uomini e donne. La shoah, scriveva Bauman, sulla scia delle analisi di Adorno sulla «dialettica dell’illuminismo» e degli scritti di Hannah Arendt sul processo Eichmann, era la radicalizzazione della logica soggiacente la gabbia di acciaio che la burocrazia usava per amministrare la vita sociale e le esistenze individuali. Dopo quel saggio, Bauman ha rivolto l’attenzione sulla crisi di quella modernità. L’esito è stato la fortunata nozione di modernità liquida.

Lungi da realizzare quel paradiso in terra che i suoi apologeti avevano annunciato, la modernità liquida vede infatti ancora manifestarsi il «male», sia che si tratti della quotidiana intolleranza verso gli «stranieri» che le stragi, i genocidi che hanno costellato il cosiddetto «miglior mondo possibile». Bauman lo ribadisce: il razzismo, la xenofobia, la violenza contro gruppi specifici della popolazione non è una caratteristica degli africani, degli asiatici, cioè di quelle realtà che lo sguardo «occidentale» spesso qualifica come poco sviluppate, ma riguarda anche l’Europa e gli Stati Uniti. Nel vecchio continente, è stata combattuta una guerra (nella ex-Jugoslavia), dove il genocidio è stata una pratica ricercata dagli eserciti – regolari e non – in campo. Gli Usa non sono esenti dall’«istituzionalizzazione del male», come dimostrano i comportamenti delle sue truppe in teatri di guerra.

Questo, però, non è un libro di geopolitica o di geofilosofia. L’autore è solo interessato a definire una tassonomia della manifestazione del «male». Ovviamente si domanda il perché uomini e donne che conducono ritenute «buone» possono repentinamente diventare «malvage». Anche nella modernità liquida si manifesta quindi la tendenza a disumanizzare il nemico, l’altro. La figura con cui fare i conti è infatti quella del «dormiente», che conduce una vita normale fino a quando la percezione di un pericolo, di una minaccia favorisce l’esplosione della violenza. Discorso banale, si potrebbe obiettare. Da qui la centralità della rappresentazione mediatica dell’ipotetico pericolo o della minaccia.

È interessante che in questo volume Bauman insista molto sul meccanismo della «desenzibilizzazione» attivato dal sovraccarico di informazioni, che rende immuni i singoli rispetto il destino dell’altro, ridotto a una dimensione «non umana». Di conseguenza, la violenza, più che esprimere una deviazione della normalità, è parte integrante del nostro vivere in società. L’abitudine, l’assuefazione alla violenza esercitata sull’altro, la desensibilizzazione verso alcuni «precetti della morale», la deumanizzazione dell’altro costituiscono dunque le «sorgenti del male».
Ma questo, però, era così anche nella «modernità solida». Cosa c’è di differente rispetto alla male nella modernità liquida? Bauman non pone, e di conseguenza non fornisce una risposta. Quel che è certo è che è evidente è la constatazione di una crepa nel monopolio della violenza esercitato dallo Stato. La violenza e il male non solo così una eccezione, bensì costituiscono la normalità delle relazioni umane. Alcuni anni fa lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger invitò a riflettere sulla guerra civile molecolare che plasma ormai i comportamenti sociali. Le sorgenti del male andrebbero quindi e cercati in quella guerra civile molecolare. I «dormienti» attivati al male non ne sono al riparo, anzi ne costituiscono le retrovia pronti a scendere in prima linea. Non per costruire una nuova e organica società, come vaticinava il nazismo, bensì per sopravvivere al modi di produzione e di distribuzione della ricchezza, che ha come scarti proprio gli umani, come ha scritto a suo tempo Bauman. Per difendersi dalla possibilità di essere tagliati fuori dal circolo virtuoso costituito da produzione e consumo, gli umani diventano “cattivi” e  il male torna ad occupare la scena nella società liquida.