Sei messaggi sociali sul casco per sostenere la cultura del cambiamento sull’odio razziale. La National Football League (Nfl) che riparte in settimana con il campionato, primo torneo a livello mondiale con il 100% di affluenza negli stadi, non ha certo dimenticato le stagioni precedenti in cui il football e il basket in particolar modo si sono impegnati in prima persona contro il razzismo e l’intolleranza.
Sui caschetti degli atleti, per tutta la stagione, potranno essere riportati alcuni messaggi sociali: da Black Lives Matter a End Racism, poi Stop Hate, It Takes All Of Us, Say Their Stories e Inspire the Change.

Ispirare il cambiamento, appunto. L’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca, la fine dell’era Trump che ha gettato benzina per anni sulla pace sociale mai raggiunta negli Stati uniti, non è ovviamente la soluzione ai ripetuti episodi di intolleranza razziale, tra violenze (e omicidi) da parte della polizia sui neri.

La morte di George Floyd a Minneapolis a maggio 2020 per mano di un poliziotto (condannato a 22 anni e mezzo di carcere) è stato solo il detonatore, l’innesco di una presa di coscienza collettiva che ha portato il movimento Black Lives Matter per le strade americane (e non solo) a gridare contro l’oppressione sulla comunità afroamericana.

E AD ACCENDERE la miccia, a inaugurare la protesta, silenziosa e incisiva, dello sport americano impegnato contro l’intolleranza è stato proprio un ex stella della Nfl, ormai da anni senza squadra, il lanciatore dei San Francisco 49ers, Colin Kaepernick, divenuto poi negli anni un’icona, finito sulla copertina di Time e ingaggiato da Nike per una campagna pubblicitaria contro il razzismo. Dal suo inginocchiamento durante l’esecuzione dell’inno nazionale pre gara, poi imitato da tanti colleghi del football, poi dalle stelle della Nba, fino a influenzare anche diversi sportivi, come Lewis Hamilton in F.1.

E anche il calcio europeo, ma non l’Italia, che a Euro 2020 ha ritenuto di non doversi inginocchiare, tranne nei casi, come gesto di cortesia, in cui la nazionale avversaria si piazzava con il ginocchio in terra.

Insomma, la rivolta pacifica, dimostrativa dello sport mondiale contro l’ondata di razzismo è partita proprio dalla Nfl, che conta il 70% degli atleti afroamericani ma con la maggior parte dei proprietari delle 32 franchigie sia legata al partito repubblicano.

C’è anche un impegno economico da 250 milioni di dollari negli anni per le politiche contro l’intolleranza, mentre altre leghe anche più impegnate come la Nba hanno deciso di non consentire messaggi sociali sul parquet oppure sulle casacche dei cestisti nel corso della stagione che parte a metà ottobre.

La questione sociale potrebbe anche essere parte di una strategia per recuperare consensi: la Nfl, causa pandemia, ha perduto quattro miliardi di dollari in entrate la scorsa stagione (12 miliardi di dollari in entrate) e tenersi fuori da future polemiche legate a temi caldi come il razzismo potrebbe aiutare le franchigie a recuperare le perdite.