Il senato ha approvato una nuova legge elettorale. In due settimane è il secondo mattoncino nella (de)costruzione del parlamento firmata Lega e 5 Stelle, dopo l’approvazione in prima lettura – sempre al senato e sempre nella distrazione generale – della riduzione del numero dei parlamentari. Sono bastati 136 voti favorevoli, una trentina in meno di quelli a disposizione dei giallobruni e molti meno della maggioranza: le opposizioni erano però altrettanto distratte e assenti. Il testo passa alla camera.

La nuova legge elettorale è quasi identica alla vecchia, il Rosatellum contro il quale i 5 Stelle hanno tentato anche i ricorsi di costituzionalità; il sistema in parte uninominale e in parte proporzionale era per Toninelli «un binomio devastante per la democrazia». Le novità sono peggiorative. Per adattarsi alla diminuzione dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200) prevista dalle riforma costituzionale, la divisione tra collegi uninominali e collegi proporzionali non è più indicata in una quota fissa, ma in una proporzione: gli uninominali saranno i tre ottavi del totale. Il risultato è che ci saranno collegi uninominali enormi, soprattutto al senato. Per esempio (ha calcolato l’ufficio studi) in Calabria solo due, ognuno dei quali da quasi un milione di abitanti. Salta anche l’equilibrio tra le dimensioni, persino oltre lo scarto già assai ampio previsto dal Rosatellum (il 20% in più e in meno della popolazione media), in ben sei regioni avremo collegi fuori proporzione. Il fatto poi che i senatori da eleggere nella quota proporzionale saranno pochi in quasi tutte le regioni – più di dieci solo in Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia – introduce una soglia di sbarramento sostanziale molto più alta del formale tre per cento. E non è finita, perché i numeri ridotti amplificheranno i danni che alcune caratteristiche della legge, come i capolista bloccati o le pluricandidature, hanno già prodotto al diritto di voto.

Sono lacune che i 5 Stelle avevano in passato denunciato. Se adesso hanno deciso di perpetuare il Rosatellum senza provare a cambiarlo è perché – ufficialmente – bisogna avere una legge elettorale pronta per la riduzione dei parlamentari, in materia è noto che non è possibile il vuoto legislativo. L’argomento non regge, perché la riforma costituzionale ha tempi lunghi (siamo alla prima lettura della prima deliberazione) che lo stesso disegno di legge in questione stima in oltre due anni. Per ridisegnare i collegi, poi, è prevista una delega al governo: fino a quando non sarà stata esercitata il vuoto legislativo c’è ugualmente. Da segnalare però il numero molto alto di senatori grillini assenti ingiustificati al momento del voto finale: ben undici, oltre ai tanti in missione. Sarebbero stati più che sufficienti a mandare sotto la maggioranza, se ci fossero state le opposizioni.

Intanto alla camera sono riprese le votazioni sull’altra riforma costituzionale, quella che introduce il referendum propositivo. I tempi degli interventi sono ormai contingentati e malgrado manchino ancora molti emendamenti da esaminare il voto finale potrebbe arrivare entro pochi giorni. Restano i tanti aspetti critici segnalati anche ieri da diversi costituzionalisti (Azzariti, Flick, Curreri, Clementi, Morelli e Sterpa) in una tavola rotonda organizzata dal deputato di +Europa Riccardo Magi. Anche in questo caso, in aula, alla maggioranza sono mancati diversi deputati, quasi cento. In teoria a Montecitorio i giallobruni avrebbero un margine ampio sulla maggioranza assoluta. Ma in una votazione di metà pomeriggio il numero legale è stato raggiunto per appena undici deputati e solo grazie a ben 92 considerati in missione.