Ultima lunga notte per salvare la faccia. E’ questa la triste e prevedibile conclusione di Cop19, la conferenza Onu sul clima che si è aperta 15 giorni fa a Varsavia e si sarebbe dovuta chiudere ieri sera. Dopo l’abbandono delle associazioni ambientaliste che hanno denunciato con un gesto mai avvenuto prima l’inconcludenza del summit, anche la giornata finale sembra destinata a finire con un nulla di fatto. Almeno nella sostanza, perché – c’è da giurarci – oggi i delegati di 198 paesi non potranno uscire dallo stadio della capitale polacca senza esibire almeno un foglio di carta, uno straccio di intesa di massima, per poter dire al mondo che non è stato tutto inutile. Ma il fallimento nei fatti si è già consumato e ieri è stato ammesso, fra gli altri. anche dal rappresentante cinese Su Wei.

Cop19 doveva essere la tappa fondamentale per preparare il decisivo vertice in programma a Parigi nel 2015. In quella sede tutti i paesi dovrebbero firmare un accordo di portata storica per ridurre le emissioni di gas serra a partire dal 2020. E’ l’ultima possibilità, quasi fuori tempo massimo, per cercare di limitare il trend di riscaldamento globale dell’atmosfera. Lo stallo di Varsavia invece rischia di compromettere il processo di avvicinamento a Parigi. I governi del mondo stanno dimostrando ancora una volta di non avere né la forza né la volontà di salvare il pianeta. Prevalgono gli interessi di bottega, le lobby degli idrocarburi, il braccio di ferro tra nazioni e i calcoli a breve termine dei politici che pensano alle rispettive elezioni nazionali.

I negoziati sul clima in corso da quasi 20 anni dovrebbero basarsi su due semplici principi. Il primo: chi inquina paga. Il secondo: equità tra paesi ricchi, paesi emergenti e paesi poveri. Invece nessuno vuole pagare. Nessuno finanzia davvero il fondo mondiale per il clima nato nel 2009 a Copenhagen: dovrebbe raccogliere 100 miliardi di dollari entro il 2020 ed è ridotto a spiccioli. Giovedì si è raccolta la cifra irrisoria di 10 miliardi di dollari, per lo più pagati dagli stati europei. Inoltre non si è raggiunto nessun accordo sul capitolo dei rimborsi ai paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. La banca mondiale ha calcolato che i danni dovuti a queste catastrofi da dieci anni costano circa 200 miliardi di dollari all’anno. Quattro volte più di quanto costavano negli anni Ottanta. Per i paesi poveri adattarsi è quasi impossibile: alla sola Africa costerebbe 350 miliardi di dollari ogni anno fino al 2070. Inoltre i paesi ricchi tendono a sottrarre questi fondi alla cifra totale degli aiuti. Come dire: se volete soldi per il clima ve ne daremo meno per cibo e medicine.

Ma a far saltare definitivamente i colloqui è la mancanza di impegni certi dei vari paesi per ridurre le emissioni di gas serra. Solo per fare un esempio, il Giappone, adducendo come motivazione il disastro di Fukushima, ha detto di non poter più contare come prima sul nucleare e ha tagliato le soglie limite di emissioni di CO2 dal 25% al 3,8%. Stresso atteggiamento da parte dell’Australia e del Canada. Il ministro dell’ambiente canadese Leona Aglukkaq ha chiesto che il trattato includa tutti i maggiori paesi inquinatori senza differenze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Un chiaro riferimento alle economie emergenti, condiviso da sempre anche dagli Usa, che in particolare prende di mira la Cina, la quale però non intende sobbarcarsi i danni fatti prima della sua portentosa crescita. Ieri l’inviato americano Todd Stern ha proposto di fissare una timeline perché i singoli paesi si impegnino a precise riduzioni entro i primi mesi del 2015. Molto più tardi di quanto era previsto, di fatto vanificando ogni progetto credibile in vista di Parigi. Eppure potrebbe essere proprio questo il misero compromesso finale.

Cop19 è nata sotto una cattiva stella, sfacciatamente sponsorizzata da privati legati alle emissioni di Co2, come Bmw e General Motors. Ed è naufragata anche per l’atteggiamento ostile della stessa Polonia che dipende dall’80% dal carbone e che ha pensato bene di ospitare proprio in questi giorni il summit mondiale del settore. Ieri il presidente della conferenza Marcin Korolec ha annunciato che si sta discutendo su un nuovo testo è si è detto convinto che un accordo è ancora possibile. Eppure il premier polacco gli ha appena revocato l’incarico di ministro dell’ambiente. Questo uomo destituito della sua carica oggi dovrà arrampicarsi sugli specchi per dimostrare al mondo che la conferenza di Varsavia non è stata inutile.