Scontro politico, in Ecuador, nelle piazze e sul web. Ieri una marcia di protesta indigena, partita dal sud del paese 11 giorni fa, è arrivata nella capitale Quito. Una manifestazione organizzata dalla Conaie, la potente Confederacion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador. La prima organizzazione indigena del paese ha percorso oltre 700 km per contestare il governo di Rafael Correa, che un tempo ha contribuito a far eleggere, raggiungendo altri settori che protestano, attizzati dalle destre.

«Vogliono creare caos e destabilizzazione e distruggere quel che abbiamo costruito», ha detto Correa anticipando, nel suo consueto appuntamento televisivo del sabato (la sabatina) che la revolucion ciudadana non si sarebbe fatta sorprendere. Infatti, le sinistre ecuadoriane hanno deciso di anticipare la marcia organizzando una gigantesca manifestazione di sostegno al governo, un giorno prima. Con largo anticipo, si è anche lanciata l’idea di una twittata internazionale, subito amplificata dai presidenti progressisti dell’America latina e realizzata ieri. «Gli ecuadoriani stanno lavorando con rinnovato impegno», ha detto Correa, preannunciando il fallimento dello sciopero nazionale, indetto dal Frente Unitario de Trabajadores (Fut).

Jorge Herrera, presidente della Conaie ha dichiarato che non intende destabilizzare il paese ma Correa deve modificare la rotta e che alcuni punti non sono negoziabili. Tra questi, la richiesta di una riforma agraria che distribuisca il 60% delle terre coltivabili che sono ancora in mano ai privati. E poi l’abolizione della Ley de Aguas, considerata insoddisfacente. E ancora l’educazione culturale bilingue. E a seguire alcuni punti politici avanzati anche da altri settori, come quello di impedire la rielezione del presidente e porre fine allo sfruttamento minerario e petrolifero nei territori indigeni.
Punti considerati strumentali da Correa che è tornato a spiegare alla popolazione le conquiste realizzate in questi anni in un paese rimasto a lungo preda degli appetiti neoliberisti e di governi subalterni alle grandi istituzioni internazionali. Fra le più evidenti, le 13 nuove scuole che hanno sostituito l’insegnamento unico a cui dovevano sottostare i nativi, e la distribuzione di terre: tra il 2010 e il 2014 – ha ricordato il presidente – sono stati consegnati 580.000 ettari di terre a 19.000 comunità, e che altri 100.000 titoli stanno per essere devoluti. La costituzione dell’Ecuador – una delle più avanzate sul piano dei diritti degli indigeni e della natura, varata nel 2008 – definisce l’ambito di un nuovo Stato plurinazionale. Correa ha ricordato anche questo, ironizzando sulla provocazione dei contestatori: i quali hanno detto che riconoscono come presidente Evo Morales, l’indigeno aymara che governa la Bolivia, ma non lui.

Morales, che ieri si è recato a Cuba per festeggiare gli 89 anni di Fidel Castro, ha però respinto la proposta al mittente, esprimendo solidarietà piena al suo omologo. Lui stesso, d’altronde, sta subendo le pressioni di alcune componenti indigene che lo hanno contestato di recente, accusandolo di sostenere teorie sviluppiste e di aver tradito gli ideali originari. Gli indigeni della Conaie si sono accampati nella capitale. Affermano che la protesta potrebbe proseguire a oltranza. Intanto, molte altre organizzazioni indigene, tra cui la Confederacion Nacional de Campesinos, Indigenas y Negros hanno preso le distanze e sostengono il governo.

Correa ha invitato alla calma, ma ha chiesto alla popolazione di non «subire gli abusi di un’infima minoranza, le cui azioni danneggiano il paese e non il governo». L’ordine – ha aggiunto – è quello «di evitare la violenza, ma anche quello di non lasciarsi sopraffare». Ma gli oltranzisti accusano il presidente di essere autoritario e repressivo e sostengono di aver perso una militante negli scontri con la polizia.

Intanto, il paese discute e i toni sono accesi. Intervistato da Telesur, l’analista politico Carlos Baca Mancheno non ha usato mezzzi termini: la Conaie – ha sostenuto – è al servizio della destra. Non rappresenta il movimento indigeno di base, perché «i suoi dirigenti approfittano della loro condizione di indigeni per arricchirsi sotto lo sguardo costernato della maggioranza dei militanti». E qualcuno ha tirato fuori anche i documenti di Wikileaks, che comprovano i contatti di alcuni dirigenti indigeni con la Cia a cui, nel 2005, avrebbero chiesto di intercedere per recuperare benefici presso il governo di allora. Correa è sotto attacco da giugno per via di una legge che avrebbe aumentato l’imposta sull’eredità e ridistribuito più equamente la ricchezza. Il testo è stato poi ritirato e il presidente ha invitato al dialogo – che resterà aperto fino a dicembre – tutti i settori sociali. Ma le destre non demordono e cercano di catalizzare lo scontento.