Parliamo di Roma, già ma di quale Roma? Del Quirinale dove si consuma la difficile trattativa delle consultazioni di governo? No, vogliamo parlare di quella di Via del Caravaggio, dove circa 127 famiglie (quelle recensite, ma ce ne sono molte di più), vivono in condizioni di assoluta precarietà.

Una comunità che, a modo suo, aspetta anch’essa la soluzione della crisi di governo. E che vive in uno stabile (di proprietà degli Armellini) sotto l’incubo di uno sfratto già deciso ma non ancora eseguito; anzi per il momento sospeso. E dei bambini, tantissimi e di tutte le età, che avvertono, come solo sanno fare i bambini, che su di loro c’è una minaccia oscura che gli impedisce di giocare sereni.

La via sorge nel quartiere di Tormarancia tra lussuosi palazzi; alcuni per abitazione e molti altri per uffici, a due passi della Cristoforo Colombo.

C’è solidarietà e, per quanto possibile, allegria e speranza tra gli occupanti che non si danno per vinti e già preparavano la resistenza accumulando masserizie e altri oggetti proprio a ridosso dell’entrata dell’edificio, occupato nel 2013. Proprio davanti l’ingresso del palazzo occupato dai senza casa c’è la fermata di un autobus, che è stata recentemente soppressa in vista dello sgombero, tra le proteste dei vicini commercianti alcuni dei quali solidarizzano con gli occupanti. Ma sembra che alcuni autisti ignorino deliberatamente la soppressione della fermata raccogliendo coloro che sono in attesa dell’arrivo dell’autobus.

Nel frattempo una vera e propria attività creativa ha trasformato la fermata dell’autobus in un luogo di attività culturali: presentazione di libri, dibattiti, incontri cui partecipano in massa gli occupanti, benchè siano affaccendati nella difesa dell’occupazione.

Qualche settimana fa Rossella Marchini e Paolo Berdini hanno pubblicato un articolo (il manifesto del 30 luglio) per dimostrare come le amministrazioni pubbliche (comune di Roma, Regione Lazio, Ater) potrebbe risolvere facilmente, “in quattro mosse”, il problema delle occupazioni nella capitale e dare la casa a che non ce l’ha; parte dei soldi per la costruzione di circa 2000 alloggi ci sono già, ma bloccati presso la Regione. È di ieri la notizia che lo sgombero è stato sospeso. Indubbiamente ha pesato anche la determinazione degli occupanti, decisi a fare resistenza.

C’era molta ansia tra i genitori che avevano già iscritto i loro figli nelle scuole del quartiere che sarebbero stati costretti, in caso di sgombero esecutivo, a cambiare scuola nel pieno dell’anno scolastico.

Eppure non passa inosservata, in questo clima di difficoltà, la serenità che trapela tra gli occupanti, ora ancora più felici, che nasce da questa condizione abitativa forzata, da questo affrontare insieme i problemi, da questa coscienza di essere le vittime di una infausta politica della casa, anzi dalla sua totale assenza. Loro stessi sono circondati da edifici in parte abbandonati, che una volta erano destinati ad uffici. Ed è una beffa insopportabile osservare come la città sia regolata da meccanismi economici che incentivano il proliferare gli edifici vuoti anziché destinarli ai meno fortunati, che sono lavoratori e lavoratrici che contribuiscono alla vita economica e sociale della città.

Chi può spiegare loro questa ingiustizia che si consuma all’ombra di una città che si vanta di essere capitale di un paese che fa parte del G7 e rappresenta un faro culturale del mondo intero? A passare e chiacchierare qualche ora in quell’edificio così denso di vita e di passioni, di esperienze di vita, si tocca con mano la profonda ingiustizia che si consuma nelle città e in particolare a Roma. Accoglienti e sfarzose per i turisti quanto violente e feroci verso i propri abitanti più deboli, perseguitati anche quando si limitano a vivere in un edificio nato con intenti speculativi e ora abbandonato in attesa di ben più remunerativi affari.

Tanti anni fa ci si chiedeva: di chi è la città? Ora lo sappiamo: dei turisti, dei ricchi, di chi la casa ce l’ha e non ha bisogno di trasformarsi in un “pericoloso criminale” in attesa di essere cacciato.

Ma come si dice: ogni veleno produce anche il suo antidoto: questo antidoto è la comunità coraggiosa di via del Caravaggio che dà lezioni ai cittadini indifferenti che l’attraversano di come un’altra vita sia possibile, di come la solidarietà e l’amore per l’altro sono indispensabili ingredienti di una vita sostenibile.