Abbiamo assistito in tempo reale, grazie a Tagadà di Tiziana Panella, alla dichiarazione del reggente Maurizio Martina all’uscita dall’incontro della delegazione Pd con il presidente della Camera Roberto Fico. Le scena rappresentata nella Sala della Lupa era significativa ed interessante, soprattutto da un punto di vista comunicativo.

Martina annunciava di fatto l’apertura di una fase nuova, dichiarava attenzione alle parole di Luigi Di Maio di qualche ora prima, ne chiedeva la conferma e aggiungeva che se così fosse stato si sarebbe aperta una discussione nei gruppi dirigenti per verificare le condizioni di un confronto con il Movimento 5 Stelle. Ripeteva più volte la parola «fondamentale», come a fissare dei paletti e scongiurare la sensazione di un cedimento, ma nella sostanza mostrava una disponibilità del tutto inedita fino ad allora.

Ora noi non sappiamo se prima della dichiarazione ai microfoni i quattro delegati abbiano parlato tra loro, non sappiamo cosa eventualmente si siano detti con Fico, non sappiamo nemmeno se con quest’ultimo abbia parlato uno solo, il segretario, o anche qualcun altro. Fatto sta che all’uscita alla destra di Martina c’era Matteo Orfini, che stava con le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso per tutto il tempo, come si fa ad un funerale. Sempre alla destra (un segno anche questo?) c’era Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, che se ne stava con le mani congiunte davanti, ma ruotava le orbite oculari come di chi subisce una tempesta interiore. Infine, alla sinistra di Martina, c’era Graziano Delrio, l’unico a cambiare posizione passando dalle mani appoggiate al tavolo, come di chi vuole discutere e capire, alle braccia conserte.

La chiamano comunicazione non verbale: segni e gesti che indicano, o tradiscono, un sentimento, un’idea, uno stato d’animo. Di questa comunicazione, anche in politica, la diretta di Tagadà, ieri pomeriggio, verso le 15,40, è stato un esempio più efficace ed utile di qualsiasi lezione scolastica.