Oltre il Mito. Scritti sul linguaggio del Jazz (LIM, pp. 151, euro 25) è un testo prezioso, utile, rigoroso ed illuminante. L’autore è il milanese Maurizio Franco (musicologo, didatta e saggista) ed appartiene alla schiera di studiosi italiani, oggi cinquantenni, che da decenni sta fornendo nuovi strumenti per la comprensione di una musica complessa e trasversale quale il jazz: Marcello Piras, Gianfranco Salvatore, Stefano Zenni, Claudio Sessa, Vincenzo Caporaletti, Luca Bragalini e Vincenzo Martorella.

Franco approfondisce in forma saggistica alcune tematiche già affrontate in Il jazz e il suo linguaggio (Unicopli, 2005), riprende ed amplia sette studi già pubblicati cui aggiunge cinque lavori inediti, ottenendo un testo articolato ed organico. In esso si affrontano questioni «nodali» (suono e linguaggio del jazz; l’Interplay come creazione estemporanea collettiva; i processi creativi; retaggio africano, incroci afrolatini), questioni estetico-didattiche (nuova terminologia e prospettive di ricerca negli studi di V.Caporaletti; insegnare il jazz: una didattica audiotattile), singoli artisti del Novecento (Armstrong, Parker, Monk, Django Reinhardt, il Gaslini dodecafonico di Tempo e relazione, Enrico Intra e Le case di Berio).

Da molti anni il musicologo milanese guida, con Intra, l’Associazione Culturale Musica Oggi, è direttore didattico dei Civici Corsi di Jazz, insegna in conservatorio, pubblica su importanti riviste di settore (dirige Musica Oggi) ed ha un’ampia esperienza anche nella produzione di concerti. Proprio da questa vastità di orizzonti teorico-pratici Maurizio Franco trae elementi per inquadrare il jazz «oltre il mito». Smonta, con argomenti inconfutabili, la visione della musica afroamericana quale successione di singoli geni innovatori e pone, invece, l’accento sulla dimensione sociale e collettiva del jazz. In questo ambito è centrale il concetto di «interplay», cioè quella rete di relazioni-invenzioni-stimoli che avvolge i solisti e li rende parte di una dinamica di gruppo. Franco stigmatizza, in proposito, la pratica (eurocentrica) di trascrivere e studiare gli assolo staccandoli dal loro contesto; diversifica e ben illustra i concetti di «estemporizzazione» (variazione di materiale melodico-ritmico dato) e di «improvvisazione» (creazione ex-novo); introduce le categorie di «suono frase» e «suono colore». Intenso e serrato sono l’argomentare per togliere incrostazioni aneddotiche e luoghi comuni critici (si leggano i saggi su Parker e Monk), lo sforzo per superare una didattica spesso modellata solo sul bop negando la trasformazione di forme e ruoli nel percorso del jazz, la tensione per creare strumenti che analizzino i parametri specifici della musica afroamericana non sempre mutuabili da quella europea. «L’universo creativo del jazz è (…) ben più ampio dell’ambito dell’improvvisazione solistica» (p.40).