A essere benevoli, la si potrebbe liquidare con un Mah! Siccome la benevolenza non fa un buon servizio agli spettatori, va detto che La compagnia del cigno, fiction che ha debuttato il 7 e 8 gennaio in prima serata su Raiuno, merita una bocciatura sonora.

SIAMO nel conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dove un gruppo di allievi, oltre a studiare il proprio strumento, segue le lezioni di esercitazioni orchestrali tenute dal maestro Marioni (Alessio Boni) talmente odioso, dispotico e isterico che anziché estrarre il meglio dai suoi allevi ottiene il peggio. Per carità, gli insegnanti antipatici sono sempre esistiti, ma il modo in cui viene costruito il professor Marioni è così di maniera da diventare macchiettistico. Ogni ragazzo ha un proprio vissuto.

C’è la fagottista e pianista che frequenta con profitto anche il liceo classico ma è oppressa da una madre ipercontrollante, l’oboista che vomita in classe quando scopre che la madre ha un amante, il violinista talentuoso costretto a trasferirsi da Amatrice dopo che il terremoto gli ha distrutto la casa, il percussionista che nasconde la sua passione per il rock, la ipovedente ipersicura di sé che fa strage di cuori e tratta malissimo i genitori, la violoncellista con un difficile rapporto con il proprio corpo, il pianista genietto. Ognuno risponde a una tipologia, a nessuno viene data la forza di personaggio, colpa anche di dialoghi banali e prevedibili. Poiché nel pacchetto bisogna fornire anche un po’ di mistero e angosce d’amore, si fa capire che nella vita di Marioni c’è stato un dramma che condivide con Anna Valle con la quale, però, non vive più e di cui è ancora innamorato.

DOPO ESSERE faticosamente arrivati alla fine, la domanda che nasce come un’invocazione è una sola. Perché? Per quale ragione una persona dovrebbe investire due ore davanti a una melassa così che, fra l’altro, non apre nemmeno squarci svelanti sul mondo della musica e del conservatorio? Le intenzioni del regista Ivan Cotroneo, che è anche ideatore del soggetto con Monica Rametta, erano di «Voler raccontare i ragazzi di oggi, appassionati e testardi, con tante cose da insegnare a noi adulti». Nobile intento, ma si poteva fare di meglio anche perché gli spettatori sono benissimo in grado di capire e apprezzare trame complesse, caratteri con chiaroscuri, dialoghi intelligenti, ritmi incalzanti, punti di vista non scontati e non la solita minestrina di buoni sentimenti che la Rai ci propina troppo e troppo volentieri. Se non fosse così, non si capirebbe il successo di Netflix, per esempio.

LE ANTICIPAZIONI ci dicono che il duro Marioni, che per ora i ragazzi chiamano Il bastardo, verrà da loro rivalutato quando capiranno che li tratta così male perché vuole il loro bene, metafora che dovrebbe piacere molto a certi governanti di oggi. Posso assicurare che esistono docenti di musica che riescono a ottenere il massimo senza essere così arcigni, anzi, l’esperienza mi dice che chi ha insegnato uno strumento solo con insulti, prepotenze e durezze non ha mai fatto un piacere alla musica, tanto meno ai musicisti