Lascia per la seconda volta in anticipo la riunione dell’Ecofin, con la faccia scura e un messaggio da brividi per il resto del governo italiano. Non dice quasi niente il ministro dell’economia italiano Giovanni Tria prima di lasciare Bruxelles. Ma quel poco è indicativo: «Ci sono disaccordi». È un modello di understatement: quella che Tria ha riscontrato è in realtà la decisione unanime di punire l’Italia, anche se il commissario Moscovici giura che quel verbo lui neppure vuol sentirlo pronunciare, e in maniera esemplare. Forse subito, forse nel momento più delicato, poco prima della chiamata alle urne per le elezioni europee.

«RESTIAMO APERTI al dialogo ma serve una correzione sostanziale» conferma Dombrovskis nella conferenza stampa al termine di una riunione che si è occupata soprattutto proprio della crisi con Roma. «Se entro il 13 novembre la manovra non cambia dovremo riconsiderare la decisione di non aprire una procedura per disavanzo eccessivo» conclude. Moscovici conferma: «Se non troviamo un accordo nel quadro di regole comuni le sanzioni possono essere applicate. Ma procediamo passo dopo passo».

TRIA SI È TROVATO isolato, con tutti i ministri dell’Ecofin che fanno muro intorno alla commissione. Era quel che il governo si aspettava ma sperando in posizioni meno rigide. Invece niente da fare: non c’è rallentamento o correzione delle riforme volute dal governo italiano che tengano . La partita si gioca tutta intorno a quel 2,4% di deficit che la commissione e soprattutto i governi dell’eurozona non vogliono solo limata per strappare una vittoria simbolica ma pretendono sia drasticamente ridotta: se non proprio quell’1,6% fissato l’anno scorso poco di più.

MA NON È QUESTA la vera brutta notizia. Come giustamente segnalava ieri il presidente di Confindustria Boccia il governo ha già messo nel conto la procedura d’infrazione. La novità è che la misura punitiva potrebbe essere pesantissima. Il quadro è incerto anche perché una procedura del genere non è mai stata aperta, ma quello a cui faceva riferimento ieri Dombrovskis potrebbe significare la richiesta di un piano di riduzione del debito del 5% ogni anno per 3 anni. Una bomba di tipo greco che resterebbe devastante anche se, come è praticamente certo, la Commissione decidesse di addolcire la pillola allungando i tempi. Comunque si tratterebbe di trovare quasi 20 miliardi di euro ogni 6 mesi.

LA COMMISSIONE sembra decisa ad allungare i tempi. La decisione dovrebbe essere presa il 21 novembre ma potrebbe essere rinviata di un paio di settimane. La conferma decisiva da parte del Consiglio, fissata per il 22 gennaio, potrebbe slittare di conseguenza. L’Italia si troverebbe a dover fronteggiare un dilemma lacerante, quello tra l’accettare condizioni severissime o l’uscire dalla moneta unica, proprio nei mesi della campagna elettorale per le europee. Allungare il brodo nel quale la commissione vuole bollire il governo gialloverde avrebbe anche un altro effetto: quello di rendere cronica la tensione sui mercati, con uno spread alto anche se non altissimo. Oggi le proiezioni economiche della Commissione saranno una doccia gelata per i conti su cui si basa la manovra italiana, con una crescita molto al di sotto dell’1,5% e un deficit vicino al 3%. Poi il braccio di ferro con Bruxelles tornerà a farsi incandescente con la risposta italiana, e il lungo avvio della procedura. Difficile sperare, in un quadro simile, nella discesa netta dello spread di cui il sistema bancario italiano ha bisogno come dell’ossigeno.

STA ORA AL GOVERNO gialloverde scegliere come reagire alle pessime notizie che Tria porta da Bruxelles. Nella sostanza ha già abbassato di molto le ambizioni iniziali. Ma la Commissione vuole una resa totale. Se, come è quasi certo, quella resa non arriverà diventerà concreto il rischio di una guerra totale, pericolosissima e dagli esiti imprevedibili per tutte e due le parti in causa.