L’ultima volta che è passata da queste parti, il Sahara era ancora una regione di savane e praterie frondose, con alcuni boschi dove vivevano cacciatori-raccoglitori. In Egitto non c’erano che gruppi di pastori nomadi che stavano iniziando a insediarsi nella valle del Nilo, mentre sulle coste del Mediterraneo, ancora in pieno neolitico, stavano iniziando i primi insediamenti agricoli; intanto, in Mesopotamia e in India, si iniziava a scoprire la ruota. La cultura della pietra che avrebbe portato alla costruzione di monumenti come Stonehenge stava per svilupparsi in Bretagna e Gran Bretagna. Il mondo, secondo i calcoli effettuati nel Seicento dall’arcivescovo irlandese James Usher basandosi sulla Genesi, sarebbe stato creato solo circa 800 anni dopo.

NEL SUO PASSAGGIO odierno, la cometa Neowise trova invece un pianeta molto diverso, molto più affollato – l’ultima volta c’era solo qualche centinaio di migliaia di esseri umani in giro – e soprattutto quelle poche persone non avrebbero certo potuto immaginare che un giorno su quegli strani oggetti che solcavano i cieli notturni, allora assai più scuri di oggi, ci saremmo potuti addirittura arrivare.
Le comete sono fra gli oggetti astrali più affascinanti che possiamo osservare a occhio nudo, tanto è così che questi corpi celesti costellano la nostra storia e le nostre opere d’arte. Proprio come quelle medievali, la cometa (il cui nome completo è C/20 F3 Neowise) è arrivata puntuale assieme a una catastrofica pandemia: è stata scoperta nel marzo del 2020, ma visto che viviamo nel secolo XXI, non prende il nome dalla persona che l’ha scoperta, ma da un satellite, il Near-Earth Object Wide-field Infrared Survey Explorer (Neowise), un osservatorio infrarosso per asteroidi lanciato nel 2009 dalla Nasa e che continua a mandare immagini dalla sua orbita attorno alla terra. La cometa tornerà da queste parti del Sistema solare solo fra altri 6800 anni.
Per questo vale la pena approfittare della bella stagione e cogliere quest’occasione storica: così il 2020 non lo ricorderemo solo per il lockdown e le vittime di questa terribile e implacabile pandemia, ma anche per la sua ineffabile e luminosa cometa.

Di grandi comete ne passano più o meno una ogni dieci anni, ma l’ultima bella cometa ben visibile dall’emisfero nord era stata Hale-Bopp nel 1996: una generazione fa. Per osservare Neowise abbiamo due opzioni: o prima dell’alba, in direzione nordest, oppure la sera circa un’ora dopo il tramonto, in direzione nordovest. Individuando la costellazione dell’Orsa maggiore, si troverà proprio sotto di essa, molto bassa sull’orizzonte (a circa 15-20 gradi di altezza) – per questo serve trovare un punto di osservazione molto libero da edifici per poterla vedere. E sembra sarà visibile per almeno un altro paio di settimane (Hale-Bopp fu visibile per ben un anno e mezzo, un record per un oggetto come questo). Il 23 luglio è il giorno che sarà più vicina alla terra, a «soli» 100 milioni di chilometri da noi; il 3 luglio è stato invece il giorno in cui è stata più vicina al sole.

In sé, la cometa è un sassolino insignificante di 5 chilometri di diametro, ma, grazie alla forza del sole (attorno al quale orbita, come tutti gli oggetti del nostro sistema solare), è in grado di formare una lunga coda di polveri e ioni, lunga milioni di chilometri e che le danno l’aspetto spettacolare che possiamo osservare dal nostro punto privilegiato vicino alla nostra stella: in zone più remote del sistema solare, il suo aspetto sarebbe assai più prosaico.
Non sappiamo quando potremo osservarne un’altra con altrettanta nitidezza. Di comete ne esistono moltissime: ne abbiamo contabilizzate varie migliaia di quelle osservate negli anni (con gli strumenti adeguati), ma nella nube di Oort, la sfera che ingloba il sistema solare e si estende a un anno luce di distanza e dove si pensa nascano le comete catturate dal nostro sole, se ne stimano migliaia di miliardi.

LE COMETE ci raccontano com’era il nostro sistema solare quattro miliardi di anni fa, alla sua formazione. Per questo sono oggetti celesti interessanti per la ricerca, e per questo gli scienziati ci hanno mandato molte sonde, come Giotto, dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che nel 1986 andò incontro ad Halley, o Rosetta, sempre dell’Esa, che rimase due anni dal 2014 a fare la conoscenza di 67P/Churyumov–Gerasimenko. Alcune di queste comete hanno un’orbita ellittica, ma molto schiacciata; questo significa che dopo un certo numero di anni, tornano. Altre invece hanno un’orbita parabolica: si avvicinano una volta al sole e quando si allontanano non vi torneranno mai più. Alcune di loro perdono tutto il materiale, che evapora quando passano vicino al sole; altre invece continuano ad «accendere» la propria chioma a ogni passaggio.

NEOWISE, oltre all’abituale coda di polveri, che si forma quando le polveri intrappolate nel ghiaccio del nucleo vengono liberate dal calore del sole, e che lasciano una scia lungo l’orbita della cometa, sembra mostrare anche ben due code di ioni, formate dai gas ionizzati dalla radiazione solare, spinti in direzione radiale dal vento solare.
Chissà come sarà il nostro pianeta al prossimo giro di Neowise, chissà se ci sarà ancora qualcuno che la possa osservare. Di sicuro, stavolta non basterà, come credevano gli antichi, che scompaia dalla vista tra qualche settimana perché anche le nostre sventure e pandemie spariscano.

*

Un video della cometa dalla Stazione Spaziale Internazionale:

*

NOTIZIARIO

Pronto al lancio l’erede di Hubble

La Nasa ha annunciato la nuova data per il lancio del nuovo James Webb Telescope che sarebbe il successore dell’Hubble Space Telescope, il quale ha segnato gli ultimi tre decenni della ricerca astronomica mondiale. La nuova data è quella del 31 ottobre del 2021 dalla Guyana francese (la pandemia ha ridotto lo staff che lavora in situ e sono aumentte misure di sicurezza). «L’osservatorio spaziale più complesso del mondo», come dice Thomas Zurbuchen, della Direzione missioni scientifiche della Nasa, è in fase di test in California. Da qui, verrà spedito, piegato come un origami, per l’assemblaggio a Kourou, in Guyana. Il telescopio nato da una collaborazione fra Nasa, Agenzia spaziale europea Esa e Agenzia spaziale canadese, sarà costituito da uno specchio da 25 mq diviso in 18 segmenti «a nido d’ape». (l.t.b.)

 

 

*

L’incerta età dell’universo

L’universo ha soffiato 13,77 miliardi di candeline, 40 milioni di anni più o meno. La stima dell’età dell’universo è un problema aperto della cosmologia da cent’anni a questa parte, quando Hubble si rese conto che l’universo di stava espandendo. Per questo la costante che porta il suo nome in astrofisica indica proprio il tasso di espansione e permette di calcolare l’età approssimata dell’universo. Non è tanto semplice calcolarla dell’osservazione: due team di varie decine di scienziati utilizzando i dati dell’Atacama Cosmology Telescope (nel deserto di Atacama in Cile) hanno dedotto dalle fluttuazioni dei profili di temperatura delle tracce lasciate dal Big Bang, il cosiddetto fondo cosmico a microonde. La misura è in linea con le stime che si sono fatte finora utilizzando altri dati e altri studenti. (l.t.b.)

*

Il sole e i suoi «falò»

Le prime immagini della stella più vicina alla Terra, il Sole, mandate dalla sonda Solar Orbiter, nata dalla collaborazione Esa-Nasa, stanno generando molta aspettativa sulla missione lanciata nel febbraio scorso dopo due decenni di studi. Sono state scattate a circa la metà della distanza terra-sole, cioè da circa 77 milioni di chilometri (mai nessuna sonda si era avvicinata tanto alla nostra stella), e mostrano delle piccole «eruzioni» che l’Esa ha definito «falò» sulla sua superficie, che forse sono la versione in piccolo dei flare, i brillamenti solari, violente eruzioni di materia sulla superficie del sole, ciascuno con un’energia equivalente a varie decine di milioni di bombe atomiche. Nei sette anni che durerà la missione, la sonda si avvicinerà a una distanza equivalente a solo 60 raggi solari e studierà fenomeni come per esempio il vento solare. (l.t.b.)