Oltre alla tragedia per le troppe vite perdute, la catastrofe naturale che ha colpito la Sardegna ha reso evidente la totale perdita di dignità di coloro che hanno il dovere di rappresentare la Nazione. Dopo appena ventiquattro ore, quando ancora non si conosceva l’esatta rilevanza dei danni alle persone e alle cose, è infatti iniziato uno sconcertante gioco alla «colpa degli altri». Il responsabile della protezione civile punta l’indice contro i comuni. Ammesso che sia vero, dimentica che i piccoli comuni – e in Sardegna sono tanti – versano in una crisi economica senza ritorno grazie alle politiche di cieco taglio alle spese praticate da oltre venti anni dai governi centrali di cui anche lui fa parte.

Il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci accusa Renato Soru di aver redatto il piano paesaggistico perché (purtroppo la frase è sua) «oggi e nel momento delle alluvioni avvenute in Sardegna c’era un solo piano in vigore ed è proprio quello voluto dall’ex presidente Soru». Dunque un importante esponente dello Stato accusa il suo predecessore di aver tentato di tutelare il territorio. Ma dimentica che il 25 ottobre scorso la sua giunta ha approvato una revisione del piano paesaggistico basata sull’attenuazione dei vincoli. Via libera ad altro cemento, specie sulle coste.

Infine, alcuni sindaci hanno accusato il saccheggio del territorio, alvei fluviali compresi, compiuto dall’abusivismo. Questa constatazione è innegabile perché in Sardegna (come in molte parti del sud) si è riusciti costruire sotto il livello del mare e negli alvei dei torrenti. Anche i sindaci sono autorità dello Stato e in base ai poteri di legge potevano demolire l’abusivismo, almeno quello più pericolo per la pubblica incolumità. Invece nulla: un infinito rimpallo di responsabilità perché dietro alla difesa dell’abusivismo e dei condoni c’era il consenso elettorale.

L’alluvione sarda ha reso dunque evidente la crisi di credibilità dei poteri dello Stato. Del resto venti anni di leggi incivili, dall’abolizione del falso in bilancio alla criminalizzazione del sistema delle tutele paesaggistica e idrogeologica approvate in Parlamento senza opposizione, non potevano portare ad alcun altro esito. Raccogliamo oggi la cancellazione del senso morale con cui si dovrebbe governare un paese. La politica non è più soggetta a giudizio, fa tutto ciò che vuole al riparo di una legislazione su misura, a iniziare dai poteri senza controllo affidati ai sindaci. Non esistono più contrappesi istituzionali su cui si basa il corretto funzionamento dello stato di diritto.

Ma l’alluvione mostra anche un’altra patologia. Chi ci governa, di qualsiasi colore politico sia, è convinto che si esce dalla crisi solo con una ulteriore dose di cemento senza regole. È un pensiero unico contrastato dalla cultura diffusa dei movimenti che appuntano le loro critiche su un dato inoppugnabile: le case delle periferie urbane e delle aree interne hanno subito a partire dal 2008 un decremento tra il 20 e il 40%. Continuare a costruire nuove abitazioni, come predicano Ance e liberisti, produrrà inevitabilmente una ulteriore svalutazione delle abitazioni esistenti: la favola del mattone come bene rifugio è tramontata per sempre come ci insegna il caso spagnolo.

Ma il pensiero unico è duro ad arrendersi. Ed ecco il governo Letta – Lupi che nel decreto del Fare approva un articolo che istituisce le aree a «burocrazia zero». In un giorno si deve aprire un albergo o una fabbrica anche in zona vincolata: è la burocrazia ad aver bloccato il paese. L’Italia è invece bloccata dalla rendita e perché non si ha il coraggio di avviare l’unica grande opera che serve: quella della messa in sicurezza dai rischi idrogeologici e sismici di un paese fragile. Per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici occorre tutelare le coste sarde, ricostruire il paesaggio italiano e chiudere la storia del dominio della rendita immobiliare.