Per Nino Aragno nella collana Licenze Poetiche è uscito, a firma Paolo Ruffilli, Variazioni sul tema (pp. 256, euro 12). E subito ci orienta la citazione di Osip Mandel’stam posta in esergo, «Qual è il tuo tema/la tua chiave preferita? La vita, la vita…». La postfazione di Giuseppe Pontiggia sigla questa raccolta come «romanzo di formazione in versi». Si tratta di raccolta in cinque sezioni La notte bianca, Paesaggio con figure, Camera Oscura, Diario di Normandia e infine Piccola colazione che chiude il libro, sì, ma come dischiudendo ad altro. Ecco perché cominciamo a parlarne partendo dalla fine. La colazione è per noi il cibo del mattino, ma nel lessico universale si estende a una grande vastità di senso: una piccola colazione nutre quanto basta il corpo e riaccende lo spirito. Come scrive Pontiggia, «la parola colazione ha una storia curiosa. Nei monasteri benedettini si usava leggere le Collationes Patrum di Cassiano prima della ’compieta’ e si cominciò a chiamare collatio, per continuità temporale, il pasto leggero che le seguiva (…)».
La compieta, nella Liturgia delle ore, è il tempo dell’ultima preghiera prima del riposo. Ogni sera nei monasteri ci si disponeva al buio con quella semplice preghiera ripetuta nell’antifona: «nel sonno non ci abbandonare».Perché? Cosa nasconde la notte?La Piccola Colazione di Paolo Ruffilli si apre con una parola terribile Malaria e ci immette in una forte e oscura energia da fervore sessuale. «Si mettono così / l’uno sull’altra». Quasi un’iniziazione. La Piccola colazione, come molta poesia di Ruffilli, prevede anche una buona dose d’ironia, si nutre di espedienti letterari tra Metastasio e Gozzano e poi torna ai nodi celebri della filosofia: «Si può riuscire / a scriverla, sì, a / trovarla… la verità / presunta delle cose?». Ruffilli inserisce a nella Piccola colazione battute veloci, ariette della tradizione, canzoncine. Ma questo è solo l’inizio, l’abbiamo detto. Sì, è solo l’inizio, però cominciando dalla fine.
La poetica di Ruffilli è così: si lega al tempo a ritroso guardando avanti, e ci torna in mente l’Angelus Novus di benjaminiana memoria, l’angelo che nel dipinto di Klee ha il viso rivolto al passato e sembra allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo, una rovina, una tempesta, qualcosa che lo spinge verso il futuro alle sue spalle. E anche noi ora, sfogliando il libro a ritroso, troviamo a metà strada due cuori del libro, due illuminanti note critiche: una di Giovanni Raboni e una di Vittorio Sereni. Sono due note stese tempo fa sul lavoro poetico di Ruffilli e qui riportate a posteriori, come la postfazionedi Giuseppe Pontiggia. A posteriori, quasi lancette d’un tempo poetico resistente anche all’assenza, alla scomparsa. Procedendo troviamo la sezione Diario di Normandia che ci riporta a luoghi precisi, a giorni precisi d’un anno indefinito: Trouville,Calvados: 8 agosto, Honfleur, Calvados: 10 agosto, Honfleur, Calvados: 11 agosto… E troviamo, chiara come un faro, la sezione Camera Oscura. Tiene il lettore dentro uno strano movimento e passo dopo passo, parola per parola, restituisce «la proiezione di una vita / che procede / rimanendo indietro». Piccole inquadrature, flash scattati a parole, ritratti… Poi c’è la sezione Paesaggio con figure con le sue visioni ariose, i vetri aperti, il vento che sale dal mare, e Moretto il gatto nero, il ronzare degli insetti… C’è la nostra vita nel paesaggio e il paesaggio ci tiene in sé, come un ostaggio. Troviamo il sole e poi la stanza: e «la virtù di questa stanza / è che galleggia / sopra il mondo». E infine, cioè ad aprire il libro, incontriamo La notte bianca. Siamo tornati all’inizio. Là dove la mente si orienta a suo modo, con sapienza, verso qualcosa che ancora non sa. E lì, nella notte bianca, ciascuno trova il suo gioiello, il punto luminoso.
La poesia-guida per noi che scriviamo è quella che si intitola Ogni minima creatura. Dall’inizio, «ogni minima creatura» ci conduce. «Bella o brutta / luminosa o impura / ciascuna col suo carico / avuto in sorte/» (…). Ogni minima creatura, cioè tutti noi.
Nel sonno non ci abbandonare, ripetono le voci che si levano dai monasteri, quando finisce il giorno. E chi è fuori, chiudendo il libro, si sente avvolto da infinite Variazioni sul tema. Si interroga non privo d’ansia, su cosa sarà, come sarà, domani, la propria porzione di mondo, la propria piccola colazione. «Mela, arancia, susina / Mela, arancia, susina/». Perché chiedere? Perché proprio la prima poesia s’intitola Mai più? Ci soccorre il poeta con quella sua ironia, quel monito, un inciso, come per dire: non domandare, mangia…Non domandare. «Lo imparerai, quando / sarai più grande».