Niente strilli né piatti tirati ad accompagnare il divorzio. I tempi in cui le scissioni centriste erano ancora più drammatiche di quelle a sinistra sono lontani. I centristi del terzo millennio si separano consensualmente, scambiandosi vicendevoli complimenti e augurandosi la miglior sorte. Lo faranno oggi pomeriggio, quando riprenderà la Direzione interrotta ieri proprio per dare tempo a Fabrizio Cicchitto, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi, delegati all’uopo dalle assise, di «salvaguardare due coerenze», che come formula insensata è quasi insuperabile.

A rendere molto più facile la dolorosa separazione tra chi andrà a coprire il lato destro di Renzi e chi invece busserà alle porte di casa, quelle di Arcore, c’è un particolare non irrilevante. Di solito a incarognire tutto ci si mettono di mezzo i soldi, quel patrimonio del partito che, grande o piccolo che sia, resta a chi mantiene il simbolo. Solo che stavolta di soldi ce ne sono davvero pochi e non vale la pena di litigare per quello scarso 2 per mille.
L’altro pomo della discordia, si sa, è il simbolo. Chi lo mantiene parte di solito avvantaggiato perché gli elettori piazzano più facilmente la croce su una sigla conosciuta piuttosto che su una ignota. Ma in questo caso di sigle già votate in un’elezione politica precedente non ce ne sono e soprattutto i centristi dispongono di ben due simboli, il che rende la divisione salomonica molto meno ardua. Ap, Alternativa popolare, raccoglierà i centristi in marcia verso il Pd e a guidarli sarà ovviamente Lorenzin, che è già da anni del Pd in tutto tranne che nella tessera e che è stata la più strenua ieri nel battersi contro la separazione. La sigla Ncd resterà invece ai pentiti di ritorno ad Arcore, con Lupi e l’intero gruppo lombardo ad aprire la fila.

Come saranno accolti? Bene pare, ma non benissimo. Finiranno nella quarta gamba che Berlusconi ha in mente da oltre un anno, un refugium peccatorum per ospitare centristi, pentiti e impresentabili vari. «Salvini non ha nulla in contrario», assicura Roberto Formigoni e probabilmente è vero, almeno finché si tratta di una lista. Il discorso cambierà sul versante maggioritario, perché lì il leghista ha già chiarito di non volere candidati compromessi con i governi Renzi e Gentiloni. Non che faccia molta differenza ma un veto sulle candidature uninominali farebbe apparire ancora di più la «quarta gamba» come una lista di serie b.

Angelino Alfano, pietra dello scandalo ambulante, non sarà né con gli uni né con gli altri. «Dovrò cercarmi un lavoro», ha spiegato il Martire qualche giorno fa e almeno per il momento è vero anche se non si può escludere che l’ormai ex tutto speri nel possibile «secondo turno», cioè nuove elezioni a breve ove queste andassero a vuoto. Potesse restare in campo, comunque, andrebbe con l’amico Renzi, dove in effetti finirà il suo proconsole in Sicilia Giuseppe Castiglione. E’ l’uomo del Cara di Mineo, indagato per faccende molto più serie di quelle che, nel corso della legislatura, sono costate il posto a qualche ministro. Lui invece è rimasto sempre al suo posto, sottosegretario incollato alla poltrona. Tra gli acquisti di Renzi è uno di quelli che rischia di costare molto più di quanto porti in dote.
Oggi, salvo imprevisti ostacoli, l’annuncio ufficiale. La separazione vera e propria attenderà invece la fine della legislatura perché i consenzienti concordano nel ritenere obbligatorio restare sotto lo stesso tetto fino a votare la manovra. Poi una bella festa tutti insieme per festeggiare la separazione. Magari nei locali del Cara di Mineo.