C’è un signore che parla bene delle coalizioni e dice che D’Alema e Bersani non sono suoi avversari. E’ Matteo Renzi, nella versione che offre di sé alla direzione del Pd convocata mentre la prima commissione della camera porta avanti il lavoro sul Rosatellum. Legge elettorale che spiega l’apparente metamorfosi del segretario Pd, quello della «vocazione maggioritaria» e di D’Alema «vecchia gloria del wrestling».

Il Rosatellum prevede una quota limitata di candidati nei collegi uninominali, quelli dove chi prende un voto in più degli altri conquista il seggio. Sono poco più di un terzo – 232 seggi su 630 alla camera, 109 su 315 al senato – ma servono per indirizzare il voto anche nella prevalente parte proporzionale. Perché l’elettore può votare solo liste che sostengono il candidato prescelto nell’uninominale, pena l’annullamento della scheda. Dunque torna (rispetto ai sistemi attuali) l’utilità delle coalizioni, almeno per la campagna elettorale. Il Rosatellum favorisce coalizioni esili, senza un simbolo unico (che avrebbe tolto consensi alle liste), senza un programma comune né un leader riconosciuto (così da evitare questioni, delicate sia nel centrodestra che nel centrosinistra, sul capo della coalizione). Coalizioni, cioè, facili da sciogliere il giorno dopo il voto, quando ci si renderà conto che nessuna maggioranza è possibile senza le larghe intese Pd-Forza Italia. Renzi segue evidentemente questo schema, e dunque definisce «un elemento di forza del Rosatellum» il fatto che «chiami a una coalizione in cui il Pd è il baricentro di una composizione più ampia e più legata al socialismo europeo».

Visto che difficilmente potrà essere Alfano, potenziale alleato, l’artefice di questa stretta con il socialismo europeo, il segretario sta lavorando a una spaccatura alla sinistra del Pd. E’ vero che Pisapia va ripetendo che con il Rosatellum la sua lista sarà comunque concorrente a quella dei democratici, ma la sola ipotesi della coalizione ha già fatto della sinistra un campo di Agramante. Ora Renzi dice che «i nostri avversari non sono quelli che sono andati via», ma non è certo con Mdp che pensa di allearsi. I toni più concilianti servono a favorire la convergenza della minoranza Pd. «Il Rosatellum sarebbe un successo politico della linea per la quale mi sono battuto», dice infatti il ministro Orlando. E per la prima volta da anni la relazione del segretario viene approvata all’unanimità.

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Il ministro di Giustizia Andrea Orlando

Per Orlando il nuovo tono renziano prevale sui limiti del Rosatellum che la sinistra Pd continua a vedere, per esempio insistendo sull’introduzione del voto disgiunto – bocciato in commissione ma riproponibile in aula. Si inscrive in questo clima anche l’altra novità di ieri, l’estensione a Mdp del privilegio di non dover raccogliere le firme. Quella cancellata era però una norma capestro inserita nel testo originale solo per mettere pressione ai bersaniani. Cancellarla ha consentito di aiutare anche altre formazioni come quella di Fitto; sono state dimezzate le firme per il 2018, tornerà utile anche a Pisapia.

Orlando chiede che adesso il Pd lanci «un appello» a Mdp, ma Mdp con D’Attorre già risponde picche: «Per la ricostruzione del centro-sinistra il Rosatellum, con le sue coalizioni farlocche, è perfino peggio del Consultellum». Cioè la legge elettorale attualmente in vigore, che certo Renzi non può già archiviare, visti i pericolosi passaggi al voto segreto che attendono il Rosatellum. «Se resta il Consultellum mi candido al senato»”, conferma il segretario.

Nel lavoro di commissione si estendono le macchie sul Rosatellum. Si conferma la paradossale vicenda delle istruzioni per l’uso stampate sulla scheda, nel tentativo di spiegare all’elettore il meccanismo infernale con il quale si distribuiscono proporzionalmente tra le liste alleate i voti espressi solo per il candidato nell’uninominale. La parità di genere resta cristallizzata nelle percentuali, per nulla paritarie, di 60% e 40%. Salgono addirittura a cinque le pluricandidature nei collegi proporzionali, che sommate alla candidatura nell’uninominale fanno sì che sarà possibile correre in sei collegi diversi, anche in regioni diverse. Questa novità unita a quella di giovedì – collegi plurinominali enormi con liste corte – permetterà ai partiti di schierare un numero molto basso di candidati, al limite solo 85 alla camera in tutto il territorio nazionale. Anche questo, assieme alla norma che salva i voti di chi prende l’1%, è un modo di favorire la proliferazione delle micro liste. Invece sparisce, dopo che era stato annunciato da tutti e persino quasi accettato dai berlusconiani, l’abbassamento della soglia di sbarramento per il senato. Che resta al 3% nazionale anche per chi, come aveva chiesto Ap con tanto di comunicato ufficiale, riesce a superarla in tre regioni. Forza Italia alla fine si è impuntata e gli alfaniani si sono accontentati delle pluricandidature. Raccontando di non aver mai chiesto altro.