«Tutti corresponsabili». E’ chiaro e ineludibile il monito di Giorgio Napolitano: «Sottopongo all’attenzione del Parlamento l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo». Le violazioni oggetto del messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica sono quelle dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che vieta la tortura e le pene inumane o degradanti. Una responsabilità non da poco, che grava su tutti i poteri dello Stato, cui «è fatto obbligo, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti lesivi della Convenzione cessino», dice ancora il Presidente della Repubblica, citando testualmente la giurisprudenza della Corte costituzionale.
I fatti sono noti. Le nostre carceri ospitano circa ventimila detenuti più di quanti potrebbero contenerne. Nel 2009 – lo ha ricordato Napolitano – per la prima volta l’Italia venne condannata al risarcimento di un detenuto bosniaco per le condizioni di detenzione cui fu costretto nel carcere romano di Rebibbia. Da allora, centinaia di detenuti si sono rivolti alla Corte europea, che – nel maggio scorso – ci ha dato un anno di tempo per rimediare al sovraffollamento e, più in generale, a tutte le gravissime disfunzioni che rendono lo Stato italiano condannabile per le condizioni di detenzione della gran parte delle persone private della libertà. Entro il 28 maggio dell’anno prossimo il nostro sistema penitenziario dovrà rientrare negli standard di civiltà e di rispetto dei diritti umani imposti dagli obblighi internazionali (e costituzionali).
Come prevedibile, e come anticipato nella visita al carcere napoletano di Poggioreale, il Presidente della Repubblica sollecita esplicitamente il Parlamento all’adozione di un provvedimento di indulto e di amnistia, il primo efficace a riportare nella legalità il numero delle presenze in carcere, il secondo utile a rimuovere il pesante fardello di procedimenti per reati minori che altrimenti sarebbero inutilmente celebrati in vista di una pena destinata a essere condonata.

Al Parlamento spetta individuare limiti ed esclusioni e già possiamo dire – sulla base dell’esperienza e delle proposte finora depositate – che Silvio Berlusconi non ne potrebbe trarre alcun giovamento.
Se riusciremo a discuterne liberi da questo macigno di una personalizzazione parossistica (già sentiamo gli strepiti: soccorrerà Berlusconi) e dalla sua variante “di classe” (tranquilli: per ogni colletto bianco che potrebbe forse usufruire della clemenza una infinità di stranieri, tossicomani e disgraziati senza voce e senza potere verranno fuori dalle carceri), del messaggio di Napolitano si potranno cogliere tutte le indicazioni. L’amnistia e l’indulto sono «rimedi straordinari» che vanno presi insieme con provvedimenti indirizzati a «ridurre il numero complessivo dei detenuti» e accompagnati «da idonee misure finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate». Rimedi straordinari sì, ma non occasionali: necessari, piuttosto, per ristabilire l’indirizzo politico-costituzionale in materia di carcere e giustizia, quello secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».