Il contratto fra Lega e 5Stelle non è stato il frutto di un accordo politico, ma l’approdo di qualcosa di profondo e radicato che, in termini di psicopolitica, attribuiamo alla patologia dell’anima, dagli analisti kleiniani (Meltzer, Fachinelli) indicata come claustrofilia. La claustrofilia è una forma ossessiva di amore per il claustrum e per ogni situazione che permette di rimanere al chiuso, protetti in un recinto, “dentro”. La claustrofilia è infatti la sindrome della personalità autoritaria, quella che vuole riempire la terra di muri, prigioni, fortezze, confini.

Vedere la claustrofilia nei comportamenti della Lega e di Salvini è fin troppo facile, anche se non era così prevedibile che una “mitologia innocente” (il dio Po e tutto lo schiocchezzaio di rimando) si trasformasse in una “identità omicida”, tanto aggressiva quanto quella dell’animale che sente minacciato il suo territorio e lo recinta come una tana (Detienne , 2001).

L’ossessione di questo autoctono che, con unghie e artigli, vuole difendere il suo piccolo suolo e la purezza del suo sangue, sembra giunta al delirio: ormai è giornaliero e non più solo mediatico, l’imperativo di bloccare chiunque, con il flusso, turbi l’ ordine del chiuso: dai Rom ai migranti, fino ai virus e perfino alle patenti (si propone «un giro di vite per le patenti straniere che hanno incrementato gli incidenti stradali con lesioni a persone», ha detto di recente Salvini). Al fondo una concezione della natura umana: ognuno è lupo e quindi da chiunque ci si deve aspettare l’agguato e l’attacco.

Perciò nessuna pietà, nessuna democrazia, nessuna generosità, anzi un surplus di sicurezza e di protezione: con più armi, più prigioni, più centri di detenzione, più videocamere di sorveglianza, anche «sulla divisa degli agenti, nelle scuole o sulle autovetture» (è sempre il Nostro) e, dove non è possibile, più espulsioni, fino a costellare l’Europa e i suoi mari di quelle “navi dei folli” che tanto raccapriccio ci avevano dato nei dipinti di Sebastian Brand e di Hyeronimus Bosch, navi spettrali che non potevano attraccare fino alla morte di tutti quelli che portavano: stranieri, irregolari, strani, delinquenti, malati, eretici ma anche sovversivi e oppositori di una politica che si faceva Fortezza.

Più difficile invece vedere la clustrofilia nel corredo pulsionale 5Stelle, ma fortunatamente ci illumina l’intervista del giovane Casaleggio, già presidente, tesoriere e amministratore unico, della Piattaforma Rousseau: potenzialmente è accessibile a tutti, ma pochi, anzi praticamente uno (lui), può controllare i flussi, le decisioni, le procedure, tra cui le votazioni sia interne che elettorali.

Il giovane Casaleggio però non ha inventato nulla ed essendo la claustrofilia una forma di odio per la madre in cui ci si è autoreclusi, ha rispolverato una proposta del padre già espressa nel 2008 , nella “Piattaforma Gaia”, un altro sistema digitale pensato dal Movimento in forma video, in cui si prediceva un avvenire prossimo futuro senza la democrazia rappresentativa parlamentare ma con una democrazia diretta digitale dove ciascuno, ben protetto in una Rete, avrebbe potuto decidere su tutto, compreso il Governo Mondiale.

Per far sì che ciò accada dovrà essere però riformulato il sistema dei diritti universali e mettere al primo posto il “diritto di cittadinanza digitale” a cui potrà accedere ogni abitante della terra (Gaia appunto), semplicemente dotandosi di un account.

La proposta, dice Marco Revelli, è veramente sgangherata; in realtà è assai pericolosa perché amplifica quell’”effetto scafandro” che tanto piace alla nostra epoca del totalitarismo digitale. E’ un effetto , come spiegava con preveggenza Roland Barthes, che spinge a finire autoreclusi in un computer, uno strumento che «sa trasformarsi in una caverna adorabile o in un sottomarino da dove è possibile vedere, dietro un vetro la realtà».

Dentro quel sottomarino, in quella caverna, ci si sta bene perché si può vedere l’esterno, il tempo, la storia, la relazione, i corpi, senza che però ti possano raggiungere e toccare. L’abbandono non ti può toccare dentro quello schermo, la morte non ti può toccare, dato che sei un mero spettatore. Così il “piacere dell’occhio”, piacere di chi, sulla salda riva visiva è a distanza di sicurezza, si sostituisce ad ogni altro piacere, in particolare all’eros e all’incontro; dimodocchè sulla riva, oltre la protezione, si sperimenta il deserto, «il deserto della realtà», come lo chiama Baudrillard, dove tutta la vita diventa un simulacro e una simulazione.

Al trionfo della claustrofilia, bisogna opporre il sentimento dell’agorafilia, l’amore per la piazza dove i giovani si toccano e si scambiano sguardi senza la mediazione del telefonino, la piazza dove i bambini giocano e i vecchi e le vecchie raccontano e dove Socrate insegna senza le slides. Ma soprattutto la piazza degli incontri e degli scontri di idee, la piazza dei comizi e delle belle bandiere. E così la sinistra l’amore per la piazza dovrebbe metterlo negli statuti dei propri partiti scrivendo esplicitamente, nell’art.1: «Chi vuole aderire a questa formazione ha l’obbligo di andare all’aria aperta almeno cinque giorni a settimana».